E’ vero che quest’anno la line-up del Noisy fa rumore, o meglio “del vero rumore che ti afferra e ti scuote”, come campeggia sulla locandina. Il concerto di venerdì scorso lo ha infatti confermato nuovamente: i Giardini Romantici del Palazzo Reale di Napoli hanno accolto giovani e meno giovani per un'esibizione dall’aspettativa colta, raffinata, ma che alla fine si è rivelata emozionante e sorprendente al tempo stesso, in linea, appunto, con quello che fa Raphael Gualazzi, sul palco in trio con il batterista Gianluca Nanni e il contrabbassista Anders Ulrich: all’inizio incanta con la sua tecnica, poi piano piano ti smuove e ti ritrovi a ballare e cantare senza neanche sapere come, fino a scoprirti contento per non essere rimasto seduto in poltrona. Il concerto è una miscellanea musicale di matrice jazz, soul, rhythm'n'blues, ragtime e reinterpretazioni di arie di opera.
Il talentuoso pianista, simbolo di una rinascenza jazz e dall’appeal internazionale, apre il concerto con “Vedi Le fosche Notturne” dal “Trovatore” di Giuseppe Verdi, che introduce le sue composizioni in inglese: “A Simple Song” trasporta nell’atmosfera calda del Cotton Club di New York, mentre “Tuesday” ha un ritmo “pop” ma sempre filtrato dalle radici jazz di Gualazzi.
Segue il blues leggero di ”Mare in luce” dai toni poetici per arrivare a “Reality And Fantasy” con il classico ritornello dai vocalizzi un po' rudi che ci fanno ricordare Tom Waits: sono passati undici anni dall’uscita di quell’album e la maturità si sente tutta, sia nella voce che nell’arrangiamento, e a beneficiarne sono le emozioni, che vengono scosse anche dalle percussioni di Gianluca Nanni protagonista in “Caravan” di Duke Ellington.
Il momento più atteso arriva dopo circa venticinque minuti. Simona Molinari entra sulle note di “E se domani” ed è subito magia: una canzone delicata, un pianoforte dolce, una voce cristallina, un testo d’amore, e il pubblico non può far altro che cantare a cuore aperto. La cantautrice pop-jazz canta poi il suo brano “Lettera” e duetta con Gualazzi su “Sai”. Il concerto prosegue ed è sempre il jazz a dominare fondendosi in diversi generi e creando una splendida armonia di suoni e vibrazioni che ti fanno pensare a una jam session in un vecchio club dove il pubblico partecipa battendo le mani controtempo, dove si balla e le braccia si alzano ad accompagnare il ritmo, mentre la gioia di tutti annulla le diversità, perché come ha affermato Gualazzi “il jazz innanzitutto è cultura sorprendente che va al di là della musica, che ne è solo una rappresentazione; educa al rispetto e alla libertà, valori imprescindibili”.
Nella parte finale della serata gli artisti che accompagnano il pianista si fanno notare nella loro unicità: l’esecuzione di Anders Ulrich in “Charlie Brown” di Petrucciani è superlativa e in “Talk To My Hell” la batteria incalza incessante, lasciando tutti a bocca aperta. Simona Molinari torna sul palco per il finale: è la volta di coinvolgere il pubblico con “Maruzzella” (omaggio a Napoli) e “Dance Me To The End Of Love” di Leonard Cohen, in una versione più veloce e ritmata dell’originale ma che non perde in intensità.
Arriva infine (e immancabile) il momento dei bis. Ci si diverte con le atmosfere tipicamente swing di “Follie d’amore”, il brano di Sanremo, ma è con “Lady O” che si raggiunge il massimo del coinvolgimento del pubblico, che canta in coro “nella vita puoi cambiare tutto ma l’anima no”, tra salti e schiocchi delle dita.
Evviva il jazz e chi ne diffonde lo spirito.
*Foto di Riccardo Piccirillo