È un gelido e uggioso venerdì sera bolognese di fine gennaio, e da una settimana a questa parte, planando di bar in bar o in vari negozi di dischi, non si sente parlar d’altro che dei Måneskin. Gli artisti italiani più chiacchierati nel mondo, tra polemiche, pioggia di critiche al mainstream e ai cliché stereotipati del rock‘n’roll, e chi continua ad acclamarli, sembrano essere gli unici giovani ad aver pubblicato un disco cantato perlopiù in inglese e fondato sulla classica formazione voce-chitarra-basso-batteria. Per fortuna (sia per i detrattori, sia per chi si è semplicemente rotto i coglioni di sentirne discorrere a prescindere) è sufficiente guardare al di là del proprio naso per rendersi conto che non esistano soltanto loro.
A inaugurare e scaldare il weekend più freddo dell’anno del Locomotiv Club, ci hanno pensato due dei più interessanti progetti appartenenti alla scuderia della Bronson Recordings, ovvero i giovani Leatherette ed Eugenia Post Meridiem, i primi di stanza a Bologna e i secondi provenienti da Genova. A esibirsi per primo è il quartetto guidato dalla cantante e chitarrista Eugenia Fera, iniziando con le melodie trasognate, più ricche e meno scarne rispetto alla versione in studio, di “Low Tide” e “Mad Hatter”, brani chiave contenuti nel debut “In Her Bones” (2019). Cattura l’attenzione il lungo crescendo psych di “Life Sleeper”, singolo diviso in due parti, tra le cui influenze riconoscibili, soprattutto dai registri di Fera, spiccano Kate Bush, Beth Gibbons e un pizzico di Florence Welch.
Le restanti tracce eseguite appartengono tutte al nuovo lavoro “Like I Need A Tension”, che tra alti e bassi ha messo in luce dei buoni progressi e una maggiore propensione al lavoro corale da parte del gruppo. “Crucial Spring” indugia ancora su atmosfere eteree e ritmi accennati che innalzano gli esercizi di stile della cantante, perdendosi in qualche passaggio di troppo, mentre il groove di basso e batteria di “Unchained Will” riesce a sciogliere gli spettatori più difficili da convincere a lasciarsi trasportare dalle danze, prima della decisiva “Around My Neck”. Brano azzeccato sia su disco sia in scaletta dal vivo, è un trionfo di ritmi coinvolgenti di ispirazione afrobeat, affiancati da una solida bassline e intervallati a pause rallentate e dreamy. Si recupera fiato sulle note di “Tiny Perspectives” e ci si lascia incantare dalla sussurrata “Whisper”, che rimanda ad alcune produzioni di Cate Le Bon, per poi chiudere con un ultimo ballo sui giri di batteria e gli accenni r&b di “Willpower”.Tempo di una fugace pausa e meno di un quarto d’ora più tardi salgono sul palco i Leatherette. Il quintetto dimostra immediatamente di aver ormai acquisito una buona padronanza della scena, eseguendo quasi per intero “Fiesta”, insieme a qualche piccola sorpresa per il pubblico. Accennate le arie jazz della title track, mettono il turbo fin dalla partenza con il drumming selvaggio e i guitar riff di “Isolation”, per poi placare gli animi con le chitarre asciutte di “Cut”.
I due inediti “Ronaldinho” e “Spying” scatenano i primi punk mosh, incroci tra poghi e balli (non esattamente il meglio se si è alti un metro e sessanta scarsi per il peso di una libellula, come chi scrive, ma sicuramente movimentano la situazione in maniera davvero interessante e inaspettata), il primo con sax fuori controllo e basso prepotente, e il secondo aumentando drasticamente la velocità del passo, caricando a pallettoni gli spettatori.
Si prosegue con la sghemba “Thin Ice”, dove il frontman Michele Battaglioli continua a duettare serratamente con il sassofono di Jacopo Finelli, reimmergendosi subito dopo nelle atmosfere jazzate di “Mixed Waste”, tratto dall’omonimo Ep del 2021, in un crescendo che conduce agli strattoni ripetuti di “Experimenting”, altro pezzo non incluso in alcuna produzione attuale.
Posato il sax e presi i synth, ma solo per una traccia, si dà di nuovo in escandescenza con la rovente e nevrotica “Fly Solo”, a cui segue il fiume in piena “No Way”, molto più loud rispetto alla versione su disco. Durante la corsa a precipizio di “Come Clean”, Finelli e Battaglioli si rendono protagonisti di bagni di folla e di due bei crowd surfing, il secondo in particolare con tanto di chitarra imbracciata. Spettacolo.
La “fiesta” diviene sempre più caotica con “So Long”, il pseudo-rap di “Dead Well” e una trascinante cover del brano dei Nerves, “Hanging On The Telephone”, portato alla ribalta dai Blondie nel 1978, giungendo a conclusione con “Sunbathing” e “Decisions”.
Oltre a ottime sensazioni (e qualche livido), quali considerazioni lascia un live simile in un periodo come questo? Semplicemente: trovare un buon compromesso senza criticare chiunque a prescindere, solo perché non si tratta di un neonato Tom Verlaine o Jeff Beck (avercene), e riconoscere soprattutto chi stia tentando di proporre buoni contenuti, è senz’altro possibile. E qui di materia prima con i fiocchi ce n’è, al pari dei colleghi d’Oltremanica. Forse parlare di più in favore e supporto della qualità sarebbe notevolmente propositivo, anziché insistere a dar credito (positivo o negativo, sempre pubblicità gratuita rimane) a qualcuno che non lo merita.
Eugenia Post Meridiem
Low Tide
Mad Hatter
Life Sleeper
Crucial Spring
Unchained Will
Around My Neck
Tiny Perspectives
Whisper
Willpower
Leatherette
Fiesta
Isolation
Cut
Ronaldinho
Spying
Thin Ice
Mixed Waste
Experimenting
Fly Solo
No Way
Come Clean
So Long
Dead Well
Hanging On The Telephone (The Nerves cover)
Ronaldo
Sunbathing
Decisions