Sono passati quasi cinquant’anni dall’uscita di “Horses” di Patti Smith (pubblicato il 10 novembre del 1975), uno degli album più importanti e influenti nella storia del rock. Prodotto da John Cale dei Velvet Underground, il disco, famoso anche per l'iconica copertina con il ritratto in bianco e nero della cantante realizzato da Robert Mapplethorpe, si è messo subito in evidenza per la singolare commistione tra rock, recitazione e avanguardia, anticipando di alcuni anni il punk e la new wave. Mentre il punk non brillava certo per la profondità dei testi (Clash a parte), Patti introdusse nel rock una qualità di scrittura pari a quella di Bob Dylan, mantenendo intatta la rabbiosa energia. E proprio Dylan è stato ieri protagonista (suo malgrado) del concerto di Patti Smith alla Cavea dell’Auditorium Parco della Musica di Roma, rigorosamente sold-out. La sua corrosiva invettiva antimilitarista “Masters Of War”, che scrisse nel 1962 ispirato dalla crisi dei missili di Cuba, è stata eseguita magistralmente dalla “sacerdotessa del rock”, che l’ha introdotta con le seguenti parole: "Questa canzone è stata scritta sessant’anni fa, ma, purtroppo, è ancora molto attuale" (è chiaro il riferimento alle guerre in Ucraina e a Gaza).
Cantautrice, poetessa, pittrice, fotografa e scrittrice, Patti Smith è un’artista a tutto tondo che ha segnato l’evoluzione del rock degli ultimi cinquant’anni, tanto che la rivista Rolling Stone l’ha inserita al quarantasettesimo posto nella sua classifica dei 100 migliori artisti di sempre. La sua carriera è stata consacrata nel 2006 dall’iscrizione del suo nome nella Rock ‘n’Roll Hall of Fame, il massimo riconoscimento della musica rock. Patti Smith ha sempre avuto un rapporto speciale con l'Italia, come confermano la laurea magistrale ad honorem in Lettere classiche e moderne che le ha conferito l’ Università di Parma nel 2017 e la sua partecipazione al concertone del Primo Maggio 2020 come ospite internazionale.
Il concerto della cantautrice di Chicago alla Cavea dell’Auditorium si è aperto alle 21.15, a sorpresa, con l’inno “People Have The power”, successo del 1988 che, in genere, viene proposto dall’artista come bis: una bella scossa di adrenalina, che mette subito in chiaro le coordinate sonore del concerto. La band, formata dal figlio Jackson alla chitarra, dal fedele Tony Shanahan al basso e alle tastiere e da Seb Rochford alla batteria, è affiatatissima e abile a esaltare le performance vocali di Patti che, a quasi 78 anni, ha una voce ancora integra: miracoli del rock.
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In un’ora e mezza di concerto, la cantautrice di Chicago (che è stata adottata negli
anni Settanta dalla
scena alternativa di New York) ha eseguito diverse cover: “Spell (Footnote to Howl)” di Allen Ginsberg, “Transcendental Blues” di Steve Earle e “Bullet With Butterfly Wings” degli
Smashing Pumpkins, oltre, naturalmente, a "Gloria" dei
Them. Patti Smith conferisce a ogni canzone la sua teatralità, la sua forza e la sua comunicativa, salutata dagli applausi scroscianti del pubblico dell’Auditorium.
Sono davvero numerosi i momenti memorabili della serata: dalla contagiosa energia di “Dancing Barefoot” all’intensità di “Ghost Dance”, che narra il dramma e la resurrezione dei nativi americani; dalla fantasiosa “Break It Up” (dedicata a
Jim Morrison, che Patti immaginava “prigioniero” dentro la statua di un angelo) fino a “Pissing In A River”, solenne, cadenzata e cupa, il capolavoro dell’album “Radio Ethiopia” del 1976.
Non poteva mancare in scaletta, naturalmente, la hit “Because The Night”, frutto della penna magica di
Bruce Springsteen, che la cantautrice ha dedicato ai cuochi italiani, da grande amante della nostra cucina: grande entusiasmo e l’inevitabile
singalong da parte dei 4.000 spettatori della Cavea dell’Auditorium.
Sono ormai lontani i tempi in cui Patricia Lee Smith cantava in Gloria: "Gesù è morto per i peccati di qualcun altro, non per i miei" e "I miei peccati sono solo miei: mi appartengono". Nel 2013 ha fatto il giro del mondo la foto della cantautrice, raggiante, che stringeva la mano a Papa Francesco (che andrà a omaggiare in questi giorni nella sua tomba a Santa Maria Maggiore,
ndr), altrettanto entusiasta per l’inattesa visita. La trascinante "Gloria", canzone precedentemente scritta dai Them di
Van Morrison, è uno dei rari esempi in cui una cover è migliore dell’originale e non a caso è stata scelta come brano di apertura di "Horses" e come trascinante finale del concerto di Roma.
Ieri sera abbiamo avuto la conferma, ancora una volta, che per Patti Smith il rock non è un mestiere come un altro, ma una vera e propria missione di vita, attraverso cui lanciare messaggi di pace, speranza e unità, soprattutto in un periodo funestato da guerre, tensioni e divisioni. Emblematico, in questo senso, il siparietto tra chi voleva seguire il concerto in piedi e chi voleva vederlo seduto al suo posto. Patti ha preso la situazione in mano e ha detto ai suoi fan: "Vi chiedo cortesemente di sedervi, poi più avanti ci sarà occasione per alzarsi e ballare sotto al palco: dobbiamo dimostrare al mondo che almeno noi siamo in grado di collaborare insieme".
(Foto: MUSA/Fondazione Musica per Roma)