Effetto Sanremo 2025: "Creuza de ma" di Fabrizio De André diventa virale su TikTok

25-02-2025
L'effetto che non ti aspetti. Sanremo 2025 ha reso virale "Crêuza de mä" di Fabrizio De André persino su TikTok. Non è la prima volta che la piattaforma riporta all'attenzione generale brani del passato. Stavolta però sorprende che questa dinamica riguardi un brano cantautorale in genovese di ben 41 anni fa. Sul palco dell'Ariston, una versione del pezzo è stata eseguita da Bresh e Cristiano De André, nella serata delle cover. La loro esibizione, ripetuta tre volte a causa di problemi tecnici, è diventata un caso. E ha così contribuito alla viralità del brano su TikTok, dove migliaia di utenti hanno iniziato a utilizzarlo nei loro video.
Ecco qui sotto la cover di "Crêuza de mä" eseguita a Sanremo da Bresh e Cristiano De André.



Originariamente pubblicata da Fabrizio De André nel 1984, con la collaborazione musicale di Mauro Pagani, "Crêuza de mä", title track dell'omonimo capolavoro del 1984, è un omaggio alle radici mediterranee, un viaggio sonoro che trascende i confini. Il titolo si riferisce ai tipici viottoli liguri che collegano l’entroterra al mare, una metafora perfetta per il senso di viaggio e incontro racchiuso nel brano, che si apre sui rumori del caotico mercato di Genova, presto affiancati da un assolo di gaida, sorta di cornamusa in uso fra i pastori della Tracia. Appena il canto si dispiega sulla semplice melodia, ogni residuo dubbio dell'ascoltatore riguardo alle scelte linguistiche di De André è fugato. Nel "suo" genovese, la voce di De André diventa ancor più ricca, più espressiva di quanto non lo sia mai stata, e gli ostacoli che il dialetto pone a un'immediata comprensione sono in realtà fonte di infinite suggestioni sonore. Chi non conosce la lingua di "Creuza De Ma" è, paradossalmente, in una posizione migliore per cogliere a fondo la ricchezza dell'opera rispetto a chi possa comprendere "al volo" il significato delle parole. Il distacco fra significato e significante fa sì che l'attenzione di chi ascolta si focalizzi in primis sul suono, permettendo un ascolto non condizionato dai meccanismi psicologici di aspettativa nei confronti della narrazione.
"Creuza De Mä" parla del ritorno a casa dei marinai dopo la pesca, ed è carica della rassegnazione di chi è costretto — come i marinai, come Ulisse — a un viaggio senza fine, un viaggio-condanna in cui le soste sono fonte di frustrazione e occasioni per ubriacarsi ("E nella barca del vino ci navigheremo sugli scogli/ emigranti della risata con i chiodi negli occhi/ finché il mattino crescerà da poterlo raccogliere/ fratello dei garofani e delle ragazze/ padrone della corda marcia d'acqua e di sale che ci lega e ci porta in una mulattiera di mare"). Il brano sa evocare odori e profumi della cucina ligure ("frittura di pesciolini/ bianco di Portofino/ cervelle di agnello nello stesso vino/ lasagne da tagliare ai quattro sughi/ pasticcio in agrodolce di lepre di tegole") o anche suscitare lampi di un'Oriente lontano e misterioso ("Ombre di facce, facce di marinai/ da dove venite dov'è che andate?/ da un posto dove la luna si mostra nuda/ e la notte ci ha puntato il coltello alla gola/ e a montare l'asino c'è rimasto Dio/ il Diavolo è in cielo e ci si è fatto il nido").



De André inizia a pensare a "Creuza De Mä" dopo un'attività più che ventennale di altissimo livello, e dopo aver già ampiamente allargato il campo delle proprie fonti molto al di là dell'usuale per un cantautore italiano: dai Vangeli Apocrifi per "La Buona Novella", e dalla "Antologia di Spoon River" di Edgar Lee Master per "Non al Denaro non all'amore né al cielo", era passato ai sapori ermetici del "Volume 8" in collaborazione con Francesco De Gregori, e alle tinte mediterranee de "L'indiano", ispirato all'esperienza del rapimento. "Creuza De Mä" è dunque il punto di arrivo di un percorso artistico di grandissimo spessore, un fine distillato di trent'anni di riflessione, umorismo, poesia e ricerca compositiva. Si tratta un'opera dalla ricchezza sonora e dialettica sconvolgente, di fatto una pietra angolare dell'allora nascente world music, con quattro anni di anticipo su "Passion" di Peter Gabriel e due anni in anticipo su "Graceland" di Paul Simon. Il sound del disco infatti si allontana decisamente sia dalla semplicità cantautoriale dei primi lavori, pesantemente influenzati da Leonard Cohen e George Brassens nell'adozione della forma della "ballata" per chitarra e voce, sia dalla ricercatezza tecnica figlia del prog-rock che aveva caratterizzato i dischi della metà dei 70. "Creuza De Mä" si avvale dell'uso di una miriade di strumenti della tradizione popolare mediterranea, nordafricana, balcanica e mediorientale. Già in fase di composizione, l'uso di questi strumenti "etnici" condiziona in modo decisivo la stesura del materiale.
La decisione di scrivere i testi nella lingua madre di De André, il genovese, viene molto tardi nella gestazione del disco, poco prima delle incisioni definitive. Fino a quel momento il progetto prevedeva testi scritti in una lingua inventata o, come disse De André, un "arabo maccheronico". Questo dettaglio, oltre che dare un'idea della voglia di invenzione e di sperimentazione che accompagnò la gestazione dell'album, ci fornisce un'importante indizio per identificare la simbologia che si cela dietro la scelta di una lingua "altra" rispetto a quella del potenziale pubblico. La scelta risponde innanzitutto a considerazioni di linguistica pura: il genovese è una lingua più adatta dell'italiano alla poesia in musica, perché molto ricca di parole tronche. Inoltre, l'italiano è una lingua "aulica" per nascita, nella quale lo stile "basso" è sempre votato al grottesco e al farsesco; al contrario il dialetto conserva la propria caratterizzazione popolare senza diventare automaticamente comico, il che lo rende la lingua più adatta per parlare della vita del "popolo minuto" tanto cara a De André. La Genova di "Creuza De Mä" si carica di molteplici valenze simboliche, e pur mantenendo la propria peculiarità geografica e culturale (con gustosissimi spunti tratti dalla storia del costume dell'antica Republica di Genova), diventa un fulcro semantico ricchissimo: Genova è ogni luogo, ogni casa e ogni meta: un vero e proprio "ombelico del mondo".

"Ho conosciuto Cristiano sul set del documentario La nuova scuola genovese ed è nata una sintonia speciale. Cantammo il brano per la prima volta in quel contesto", ha raccontato Bresh. "Ho lottato per portarlo a Sanremo perché per me Crêuza de mä è casa: sapori, colori, suoni della mia terra trasformati in canzone. Ma è anche molto di più: Fabrizio De André scelse il genovese come lingua del Mediterraneo, creando un ponte tra popoli e culture. È un messaggio potentissimo, oggi più che mai".
Nel 2020, il brano è stato reinterpretato da numerosi artisti italiani, su iniziativa di Dori Ghezzi, in occasione dell’inaugurazione del viadotto Genova San Giorgio, costruito dopo il tragico crollo del ponte Morandi. Cristiano De André, ricordando il contesto in cui il disco nacque, ha sottolineato il suo valore di rottura: "Ho visto Crêuza de mä nascere. Mio padre e Pagani non imitarono nessuno, ma partendo dalle loro radici crearono qualcosa di nuovo e universale. Ricordo quando i discografici ascoltarono i primi provini: si chiedevano se fosse impazzito, dicevano ‘Non venderemo mai tanti dischi’. Invece, fu un successo enorme, anche commerciale".