Thom Yorke rompe il silenzio su Gaza e spiega le sue ragioni in una lettera aperta

31-05-2025
Dopo mesi di silenzio, in cui è stato bersagliato da accuse di complicità, Thom Yorke ha deciso di esprimersi sul conflitto israelo-palestinese. Lo ha fatto con una lunga riflessione, in cui affronta non solo la tragedia in corso, ma anche il clima di estrema polarizzazione, la pressione dei social e la manipolazione delle diverse posizioni in campo.
Il frontman dei Radiohead e degli Smile era finito al centro delle critiche per non aver preso pubblicamente posizione sulla guerra in Medio Oriente. Le pressioni sono aumentate anche a causa del legame artistico con Jonny Greenwood, suo storico collaboratore nei Radiohead, da anni vicino a Israele anche per ragioni familiari. Yorke, fino a oggi, aveva scelto il silenzio. Ora ne spiega il motivo.

“Quel silenzio, il mio tentativo di mostrare rispetto per tutti coloro che soffrono e sono morti, e di non banalizzare tutto con poche parole, ha permesso ad altri gruppi opportunisti di usare intimidazione e diffamazione per colmare i vuoti, e mi rammarico di aver dato loro questa possibilità”, spiega Yorke, che racconta lo smarrimento provato durante il tour, quando si è trovato ad affrontare le richieste di una presa di posizione nel pieno della sua attività artistica, in momenti non adatti alla riflessione profonda che la tragedia richiedeva. “Un tizio che mi ha urlato addosso dall’oscurità lo scorso anno […] non mi è sembrato proprio il momento migliore per discutere della catastrofe umanitaria in corso a Gaza”.

Il musicista inglese descrive la fatica di trovare parole che non risultino vuote o strumentali. Rivendica la coerenza della sua intera carriera, un’opera artistica sempre schierata contro la violenza, l'oppressione e l’estremismo. “Spero che per chiunque abbia mai ascoltato una nota della musica della mia band […] sia evidente che non potrei mai sostenere alcuna forma di estremismo o deumanizzazione degli altri”.
Ma Yorke non si limita a difendersi. Nella sua dichiarazione prende posizione chiara contro il governo israeliano, che definisce “una banda di estremisti”, accusandolo di sfruttare la paura e il lutto del proprio popolo per portare avanti una politica aggressiva e coloniale. “La loro scusa della legittima difesa ha da tempo perso credibilità ed è stata sostituita da un desiderio trasparente di prendere il controllo permanente di Gaza e della Cisgiordania”.

Allo stesso tempo, però, critica anche l’ambiguità di certe frange pro-palestinesi che ignorano le responsabilità di Hamas. “‘Free Palestine’ non risponde alla semplice domanda: perché tutti gli ostaggi non sono ancora stati restituiti? […] Anche Hamas sceglie di nascondersi dietro la sofferenza del suo popolo, in modo altrettanto cinico e per i propri fini”.
Ampio spazio è dedicato alla riflessione sulla comunicazione online, dove Yorke denuncia la dinamica tossica dei social media, che trasforma tragedie complesse in campagne binarie e semplificate, generando tensioni e colpevolizzazioni che annullano il dialogo. “È un’illusione pericolosa credere che ripubblicare, o inviare messaggi di una o due righe, sia significativo, specialmente se serve a condannare altri esseri umani. […] Non è dibattito e non è pensiero critico”.
Infine, Yorke si rivolge a chi continua a cercare bersagli invece di soluzioni, ammettendo di non avere risposte semplici, ma invocando un ritorno alla dignità e alla solidarietà umana. “Ho scritto tutto questo nella semplice speranza di potermi unire ai milioni di altri che pregano affinché questa sofferenza […] finisca, pregano affinché possiamo collettivamente riconquistare la nostra umanità e dignità”.