Air

Moon Safari

1998 (Source)
pop elettronico
di Veronica Rosi, Stefania T. D'Alterio

LA RIVINCITA DEL POP ELETTRONICO

di Veronica Rosi

Grunge = Medioevo

E' il momento di confessarlo. Gli anni 90 furono un periodo buio, molto buio. Dopo il crollo dell'impero delle maschere, la compiuta decadenza postimperiale dei fatui ed edonisti capelli cotonati, l'innegabile oscenità degli ombretti fosforescenti, il disgusto per una fruizione musicale ormai simile a demenza senile, ci ritrovammo in una specie di medioevo musicale. Il mito, l'idolo, l'ideale per cui i giovani adolescenti di quell'epoca erano pronti al martirio era uno: l'Autenticità. Basta silicone, basta falsi sorrisi, basta luci stroboscopiche, fuoco alle cose gay, fuoco ai falsi sorrisi del pop commerciale. Stronzi patetici anni 80, damnatio memoriae a voi.

Tutto questo mentre Tommy Mottola, Ceo della Sony Music, viveva da signorotto scopandosi Mariah Carey e facendo profitti da capogiro un po' sull'idea diabolica delle boy-band, è vero, ma soprattutto sulla pelle di noi pirla che ci ricompravamo i nostri album preferiti in cd. Questo era il triste e manicheo bipolarismo di allora: o Tommy Mottola, o i Nirvana. Se volevi del pop, il meglio che il (distortissimo) mercato dell'epoca proponesse era il songwriting impegnato e melenso di "Seven Seconds" (Youssou N'dour e Neneh Cherry, ndr, e se qualcuno non se la ricorda, beato lui). Il livello era talmente basso che il britpop passava come genere fico.

Francesi

E poi, loro. Un duo. E l'ultimo duo pop decente di cui si aveva memoria, esclusi Pet Shop BoysSoft Cell, Wham!, Eurythmics e tutti quelli della decade innominabile, erano Simon & Garfunkel. Un duo di due sfigati, per giunta francesi! Roba che l'ultimo francese che aveva visto la classifica inglese sarà stato Gainsbourg (escludendo ovviamente "Joe Le Taxi" di Vanessa Paradis, ma abbiamo detto che gli 80 erano stati cancellati da un meccanismo di rimozione psicologica collettiva). Due spocchiosetti parigini dunque, che se ne sbattevano del sacro verbo chitarra elettrica (l'elettronica, in quei bui anni 90, o era per impasticcati o era per froci malati terminali di Aids, e non sto esagerando), che non avevano mai visto una sala d'incisione, che facevano tutto a casa davanti alla tv con degli strumenti del paleolitico, vecchiume raccattato da gruppi kozmische-avantgarde-spaccamaroni andati in pensione.

Due tipi così naturalmente scarsi da filtrarsi la voce col vocoder, e nonostante quello non riuscire a nascondere il loro accento snob di francofoni, che pietà. Ma non sarebbero andati mai da nessuna parte, era chiaro che anche l'ultimo assunto della crapulona Emi avrebbe cestinato il loro promo senza manco aprire la busta. Sarebbe bastato il francobollo francese. Al massimo, solo nei sozzi bassifondi della musica quel disco avrebbe potuto trovare quei due tre ascoltatori, sfigati al par di loro. Laggiù nell'underground delle etichette indipendenti, quando fare indie non voleva dire essere nella sigla di un telefilm, voleva dire mangiare merda e sbattersene del successo. Anzi, nemmeno sbattersene, rifuggirlo proprio, scansarlo come la peste, oltre l'Autenticità, suonare nel vuoto. E in quell'ambientino lì, ora, da posteri, si può dire, nessun album pop è mai sopravvissuto. Figuriamoci poi uno che era volutamente snob e retrò, per non dire concettuale, con quella sua stilosa rievocazione dei sogni adolescenziali dei primissimi anni 70: cosmonauti, Amiga, arredamento geometrico, ragazze con la frangetta. "Moon Safari", un nome da carosello passé.

Anomalìa di un successo

Non sapremo mai quale fu il segreto del successo di "Moon Safari". Forse calvalcò fortunosamente la nascita dell'internet domestica, la nuova, potentissima arma di diffusione della musica che sarebbe stata poi la nemesi dei vari Tommy Mottola. O forse quel singolo electro (il primo singolo electro mai visto in classifica, e a tutti i dj scende una lacrimuccia), teutonico e zuccheroso insieme come una cyber-lolita, bombardò il giovane pubblico di una giovane Mtv con un misterioso messaggio subliminale contenuto in un piccolo scimpanzè-astronauta, "Sexy Boy". Era una canzone che appena la sentivi ti innamoravi, e dovevi, manco fosse un bisogno fisico, dovevi comprarti l'album (anche perché non tutti avevano ancora il masterizzatore).

Il cd era colorato di blu, era come un cielo stellato, così che noi ingenui e romantici teenegers, facendolo girare nel lettore, potessimo assistere al big-bang del nostro cosmo personale. Era un disco senza tempo, camaleontico: se eri felice ti sembrava musica felice, se eri triste ti sembrava musica triste. Andava sempre bene, e dava dipendenza. Ore ed ore di quella roba, di fila.

Terapia

Una terapia, una lezione. "Moon Safari" ci insegnò che i pezzi strumentali non erano una palla di piombo come il prog di papà, ci insegnò che si poteva fare pop elettronico senza suonare anni 80, che il pop non è un jingle, ma è sogno, è arte che rincorre l'idea di amore, ci insegnò che gli arrangiamenti contano, che il vocoder è sexy, che l'indie una volta sdoganato vende tantissimo, e che il fatto di vendere non muta la medesima musica da indie a commerciale, che contano le canzoni e non la band, che si poteva fare musica nuova in casa, tra un videogioco e l'altro, senza neanche spendere tanto in droghe e alcool, che il rock non era l'unica santa fede cattolica e apostolica, che è un errore imperdonabile accusare il pop di non essere autentico, che il pop è semplicemente un fingitore, che finge così completamente che arriva a fingere che sia dolore il dolore che davvero sente.

Ma soprattutto, sia lode a Dunckel e a Godin, "Moon Safari" ci diede una buona ragione per bruciare la camicia di flanella. Un gesto punk, liberatorio, orgasmico. Così bello che ancora la gente lo cerca: nei nuovi album degli Air, nel primo di Goldfrapp, nei tanti pallidi imitatori. Ma è una ricerca inutile. L'emozione è irripetibile. Sono passati quasi dieci anni, siamo cresciuti. Le camicie di flanella manco le vendono più.

Man On The Moon (Safari)

Nell'analogico tremolìo del Korg MS-20 (meraviglioso, impagabile nome da arma da fuoco per una canzone struggente e liquida come "Le Voyage De Penelope") rivive il brivido cosmico di accorgersi per la prima volta della consistenza della propria lingua: solo allora, solo al primo, umido, tiepido contatto con un'altra. In un attimo, così, dal mito dell'Autenticità alla vera Autocoscienza. Un piccolo passo per un adolescente, un salto gigante per la musica.

***

IL MONDO ATTRAVERSO UNA COPPA DI CHAMPAGNE

di Stefania T. D'Alterio*

Eccolo il "Nouvel Beat". Ritorniamo sui nostri passi per tutti coloro che si erano persi le puntate precedenti di una soap opera le cui ambientazioni potrebbero ricordare da vicino quei vecchi sceneggiati fine anni 60 in cui si immaginava un futuro lontano fatto di ambienti bianchi, poltrone come bicchieri da cognac su morbidi strati di moquette, con padrone di casa sinuose, algide protagoniste vestite di Courrèges dalle chiome sapientemente cotonate, lunghissime ciglia finte e fattezze che andavano inequivocabilmente a ricordare Margaret Lee.
Questa recensione è per voi, ritardatari… Per voi che oggi, alla luce di "Kelly Watch The Stars" (omaggio alla più stylish delle Charlie's Angels, supportato da un video a dir poco perfetto) vi siete lasciati sedurre dai due ironici spacemen gallici, in un'ebbra caduta libera che vi trascina più in là, sulle rive del Nuovo Suono Nostalgico, lontano dagli isterismi grevi di hip-hop italiota, "punk" per adolescenti impasticcati ed esperimenti da Doktor Frankenstein con grumi di fisarmoniche da sagra paesana a opera di furbi pseudo freakettoni ed echi di Sonic Youthall'amatriciana da far accapponare la pelle.

"Moon Safari" è il trip letargico di chi non si rassegna alle orde da classifica; nelle sue spire morbide potreste perdervi, in un gioco di citazioni e rimandi d'autore: come se Burt Bacharach si rifacesse il make-up in vista di un repechage in qualche trendy club d'Albione e Jean Michel Jarre smettesse gli abiti intellettuali per infilarsi un bel tonic suit e lanciarsi in un lounge party con Francis Lai. 

Solare, con spruzzi di selzvocoder in un astrococktail per gli swingers del nuovo millennio, è la colonna sonora perfetta per notti retroglamour senza fine: pastorali space-funk, i Kraftwerk affogati nello sciroppo alle fragole, versi soffiati che danno alla testa e rendono euforici, il mondo visto attraverso il vetro di una coppa di champagne frizzante di bollicine... Gli aggettivi e le etichette si sprecano: post-dub, synthvintage, newexotica: Jean Benoit e Nicholas trasformano i loro sogni pacifisti di futuri migliori, le loro meditazioni di un pianeta di tranquillità in perfette armonie spirituali e sofisticate per un cocktail fatto ad arte, shakerando moog e sequencer, per un sound retrofuturistico in cui strutture classiche (i fratelli Wilson post-surf, John Barry, Piero Umiliani...) danno vita a strali al neon elettrici e ipnotici come una lavalamp.

Potrete chiamarlo easy listening se volete, ma gli Air sanno essere colti e ironici per chi sa leggere fra le righe... Come i Velvet nelle loro sfaccettature più aurorali, risultano dolci eppure intossicanti come una dose di morfina, incarnano il kitsch più à-la mode come una Torre Eiffel di plastica rosa. Ci cullano con le loro melodie finto-dozzinali, ci imbottiscono di decadenti e appiccicosi bonbon elettronici, ci accarezzano come una bella bionda con le gambe lunghe e statuarie inguainate in calze nere e pagliaccetti dai colori tenui in un vecchio reportage sui localini equivoci del Quartiere Latino...
Immergetevi nella magia camp di "Sexy Boy", "Ce Matin Là" o "La Femme D'Argent" e ne tornerete totalmente rinnovati... Uscirete dall'astronave dei messieurs Godin et Dunckel storditi e felici. E, evitando una catasta di minimoog, sintetizzatori d'antan e mellotron, sussurrerete estatici toccando terra: "Paris, j'arrive...".

* © Scanner

24/04/2007

Tracklist

  1. La Femme D'Argent
  2. Sexy Boy
  3. All I Need
  4. Kelly Watch The Stars
  5. Talisman
  6. Remember
  7. You Make It Easy
  8. Ce Matin La
  9. New Star In The Sky
  10. Le Voyage De Penelope