Brainiac

Hissing Prigs In Static Couture

1996 (Touch And Go)
art rock, synth-punk

I am a cracked machine
I am a guide wire hussy
I am your favorite DJ
A blip on the screen

Tutto finì la notte del 23 maggio 1997, quando Tim Taylor e la sua Mercedes verde foresta del 1977, comprata soltanto cinque giorni prima, si schiantarono contro un lampione nei dintorni di North Main Street, a Dayton, Ohio. Il cantante, tastierista e chitarrista dei Brainiac, appena ventottenne, aveva da poco suonato al Lollapalooza ed era reduce da un sorprendente tour con Beck. Timmy, come lo chiamavano tutti, era figlio della violoncellista Linda Taylor e del chitarrista jazz Terry Taylor. Ma era soprattutto l’anima dei Brainiac, gruppo formatosi nel 1992 e di cui faceva parte con Juan Monasterio (basso), Tyler Trent (batteria) e infine John Schmersal (chitarra, tastiere, voce), subentrato nel 1994 a Michelle Bodine.
Nello schianto di quella maledetta notte morirono anche i Brainiac. Non ci fu modo di riformare la band, almeno fino al 2023. Con Timmy era sparito anche il sogno di proseguire un’esperienza fino ad allora meravigliosamente folle e dunque irripetibile.

I Brainiac hanno praticamente rivoltato tutto e il contrario di tutto con un impasto dadaista, lasciando scorrazzare sul campo parodie industrial, synth-punk e new wave. Canzoni spesso a dir poco demenziali emerse in tutto il loro assurdo bagliore dapprima in “Bonsai Superstar”, pubblicato nel 1994 - disco con cui la band di Dayton accantonò di fatto le istanze punk affiorate nel 1992 attraverso il debutto, “Smack Bunny Baby” - e due anni dopo nel capolavoro “Hissing Prigs In Static Couture”.
La band amava chiamarsi parallelamente 3RA1N1AC e apparvero mutati anche i titoli dei brani, a evocare la potenza della scrittura speculare sul cervello umano. Una scelta in linea con lo spirito surrealista del gruppo e messa in piedi per dimostrare che, in fondo, la musica dei Brainiac non era altro che uno specchio capovolto e frantumatosi in centomila pezzi di quella cosa chiamata bonariamente rock.
Un caos dunque organizzato ma pur sempre caos, in cui il revival di certi canoni diventa il pretesto per dare adito alla pazzia più gigiona. Qualche riferimento? Immaginate i Cramps a cena con i Man or Astro-Man?, quest’ultima band gemella dei Brainiac, se non fosse per la maggior vicinanza al surf-rock californiano. O magari i Pere Ubu che salgono sul ring per affrontare i Jesus Lizard e i Devo in una Royal Rumble organizzata da Ric “Nature Boy” Flair. Ecco: solo con questi strampalati quadretti avrete, forse, un’idea di cosa fosse il miraggio Brainiac.

Lo stile dei quattro, per quanto bizzarro, segue la scia del noise-rock dei primi anni 90, variandone però struttura e assetto all’occorrenza, insomma tirandolo come una molla per spingerlo avanti e indietro nel tempo, tra improvvise incursioni in generi laterali come psychobilly o synth-funk. Un guazzabuglio totalizzante. E una macedonia di deviazioni, in cui il synth di Timmy è il timone con il quale virare qui e là e a seconda del momento. La danza dadaista di “Hissing Prigs In Static Couture” dimostra che strapazzare il passato con sano furore può alimentare sempre e comunque un certo futuro. Mica poco?
Il sipario comunque vien giù con “Pussyfootin’”, un cabaret schizzato, in cui l’amplesso assume la parvenza di uno sfottò sostenuto "melodicamente" da svolazzi noise e riff assassini, spediti poi opportunamente da qualche parte sulla Luna, ad anticipare la scorribanda a mo' di elettroshock di “Vincent Come On Down”, con la vocina filtrata di Timmy che riecheggia come un cyborg impazzito che impreca ordini, manco fosse un infermiere di un manicomio dismesso su qualche collina dell'Ohio.
Anche nei momenti più “fruibili”, o meglio “seduti”, come “This Little Piggy”, i Brainiac procedono spediti nella loro catartica invettiva contro l’universo-mondo, divertendosi senza tregua grazie ad assoli che si conficcano un po’ ovunque e imprecisati deliri.

This little piggy, is locked in a vault
Hates light, Sunlight
Hides in the daytime, comes out after dusk
Ooh ooh, scares you
I could huff and I could puff and blow your stick house down
Flatter than flat, imagine the sound
Should I go easy? Forgive and forget? No    

Le tenebre calano come giullari ansimanti e fatti di eroina in “Strung”. Il basso di Monasterio stavolta è sbilenco, pare quasi costretto ad assumere metadone per un po’. “Hissing Prigs In Static Couture” è perlopiù un’operetta impossibile da decifrare, al netto dei generi sopracitati. Si prendano ad esempio gli spettri mandati al macero nel valzer elettronico che farebbe impallidire anche il Reznor più disturbato nei due minuti scarsi de “The Vulgar Trade” o la nevrosi inscenata in “Beekeepers Maxim”, a restituire una sorta di marcetta noise fuori controllo che verte in bravata, tra irrefrenabili contorsioni che spuntano al solito senza sosta.
L’irrequietezza è il punto di forza di un disco che è sostanzialmente un unicum nel panorama art-rock anglofono dei 90. I Brainiac sembrano per tutto il tempo quattro indomiti soldatini che sparano all’impazzata dentro il buio di un burrone esistenziale, dal quale (ri)affiorano a testa in giù demoni e pagliacci.
Le perle più accecanti di questo copione subentrano sul finale, ossia “Nothing Ever Changes”, traccia che farebbe gola ai migliori Ween, e soprattutto “I Am A Cracked Machine”, il manifesto dei Brainiac ed emblema di quello che sarebbero potuti essere in futuro, per un’autentica sassaiola lanciata ai quattro venti dal canto sguaiato dell’androide Timmy, perso in stop&go e ripartenze math-rock. E' la chiusura di un cerchio che si dissolse nel cielo del rock alternativo americano vibrando come una nuvola caricata elettricamente all’inverosimile.

Dopo la scomparsa di Timmy, Schmersal si trasferì a New York per dare vita ai John Stuart Mill, con i quali pubblicò nel 1999 l’album “Forget Everything”, titolo che è palesemente nomen omen di una necessità precisa, mentre i brani ripresero a sprazzi il dadaismo dei Brainiac. Un tentativo che proseguì a fasi alterne anche sotto lo pseudonimo di Enon.
La formazione originale riapparve invece a sorpresa nel 2019, poco dopo l’uscita di un documentario, "Brainiac: Transmissions After Zero", che racconta i fasti della band di Dayton. "Tornare con la mente a quei tempi è stato davvero catartico", le prime parole di Schmersal rilasciate in un'intervista telefonica al New York Times. E ancora: "Quando la band si è sciolta, siamo tutti scappati via come formiche poste improvvisamente sotto una lente di ingrandimento. Rivedendoci ora, ci siamo resi conto di quanto ci piacesse la nostra amicizia, che si è purtroppo dissipata con la morte del nostro amico Timmy". Parole a cui è seguita una reunion insperata, da cui è nato anche un Ep, pubblicato nel 2024, “The Predator Nominate E.P.”, che racchiude nove nuove canzoni che i Brainiac hanno suonato dal vivo in un tour celebrativo.

23/02/2025

Tracklist

  1. Indian Poker (Part 3)
  2. Pussyfootin'
  3. Vincent Come On Down
  4. This Little Piggy
  5. Strung
  6. Hot Seat Can't Sit Down
  7. The Vulgar Trade
  8. Beekeeper's Maxim
  9. Kiss Me, You Jacked Up Jerk
  10. 70 Kg Man
  11. Indian Poker (Part 2)
  12. Nothing Ever Changes
  13. I Am A Cracked Machine

Brainiac sul web