Fugazi

Repeater

1990 (Dischord)
hardcore

Pochi gruppi nella storia del rock possono vantare un curriculum paragonabile a quello dei Fugazi. Il gruppo di Washington Dc è stato infatti una delle realtà musicali più rivoluzionarie di fine Novecento e "Repeater" (1990) è l'apice di una carriera invidiabile, una pietra miliare indiscutibile della musica rock. Già, perché "Repeater" formalizza alla perfezione il cosiddetto post-hardcore (operazione nella quale la band sarà affiancata con risultati quasi sempre superbi dai Jesus Lizard e, in parte, dai meno conosciuti Naked Raygun) e getta un ponte tanto verso le nuove istanze post-rock, quanto verso alcuni fra i generi più in voga negli anni 90: il crossover (che viene anticipato in alcune dinamiche) e quell'emo-core oggi tanto praticato e diffuso (con risultati quasi sempre non paragonabili a quelli delle band fondatrici, Fugazi in primis).

I Fugazi nella loro longeva carriera hanno sperimentato e maturato uno stile ibrido molto peculiare, tanto che la loro musica può definirsi la risultante della somma dell'hardcore dei Minor Threat, del jazz-core dei Minutemen e dello slo-core degli Slint; ma non può essere definita hardcore, ora perché troppo cerebrale (Minutemen), ora perché troppo minimalista (Slint).
Il fatto incredibile è che l'album sembra voler soffocare tutte queste (enormi) radici musicali riprendendo le idee che la no-wave newyorkese aveva già fatto proprie da più di un decennio. E il risultato è, per chi non si sia mai affacciato a questa realtà, quantomeno inquietante: l'hardcore abbandona (almeno in parte) l'estremismo delle velocità impossibili e le chitarre di Picciotto e McKaye riescono a dialogare in maniera continuata anche quando i due creano dei muri sonori ripidissimi (vedi la title track).
In fin dei conti, ciò che colpisce veramente è che i Fugazi sono riusciti a creare più di dieci anni fa quella che è ancora la modalità più innovativa di accesso all'hardcore.
Altro punto fondamentale: spesso si identifica l'hardcore (e il punk in senso lato) come il sottogenere rock in cui, di regola, la componente tecnico-compositiva passa in secondo piano rispetto a quella emotiva. Con i Fugazi, però, tutto ciò viene meno: la loro musica è tanto distante e cerebrale quanto ricercatissima dal punto di vista compositivo e suonata divinamente. La band di Washington Dc è tra le poche in questo genere che può vantare una tecnica strumentale eccezionale, che permette di concepire pezzi estremamente vari, articolati e complessi, in cui si rincorrono cambi di tempo, frammenti di melodia, accelerazioni e rallentamenti, pseudo-assoli metal, rabbia hardcore, contemplazione post-rock; e le voci ora tratteggiano melodie che ad altri ritmi e volumi potrebbero definirsi non erroneamente pop, ora si lanciano in urla devastanti, ora sembrano scandire le parole a mo' di rap. E tutto diventa così imperscrutabile, concettuale, distante.
Verrebbe da chiedersi dov'è finita la rabbia dei Black Flag, dov'è finito il poetare catartico di Hart e Mould, che fine abbia fatto la furia politicizzata dei Dead Kennedys. Non c'è più nulla di tutto ciò: il post-hardcore è già post-rock, perché sembra contemplare la realtà senza potervi intervenire, è un approccio di semi-apatia che se da un lato rinuncia alla passionalità e all'irruenza adolescenziale, dall'altro guadagna in maturità e consapevolezza.

Ian MacKaye e Guy Picciotto, reduci dalle fondamentali esperienze con Minor Threat e Rites Of Spring, sono le due anime della band. Come spesso accade, sono tanto apparentemente lontane e inconciliabili quanto sublimi quando si incontrano per realizzare qualcosa insieme: se MacKaye, in fondo, può ancora essere definito un cantante hardcore (dalla voce roca e violenta, retaggio dell'esperienza Minor Threat), Picciotto, con il suo falsetto, dispone di una delle voci più intense della storia del rock ed è in grado di conferire un incredibile pathos ai brani che interpreta.

Ma veniamo a considerare il disco nello specifico. Uscito nell'aprile 1990, "Repeater" è il terzo lavoro in studio della band dopo i primi due Ep, l'omonimo e "Margin Walker" (riuniti in "13 Songs"), capolavori dell'hardcore tutto, in cui già si intravedevano quelle che sarebbero state le caratteristiche peculiari del gruppo: alternanza delle due voci, testi politici e quel suono delle due chitarre, distorto, dissonante e graffiante, ma nel complesso composto e calcolato, mai impulsivo.
"Repeater" prosegue il percorso di questa musica e ne incarna la maturazione, riuscendo a portarla su un piano superiore: quella che prima era un'esplosione ingenua di furore giovanile, ora è nobilitata e diventa qualcosa di più ponderato e calcolato. Il disco, infatti, non è un semplice inno alla ribellione, è molto di più: dietro a ogni pezzo ci sono un individuo e il suo rapporto con la società; ognuno dei pezzi, veri e propri concentrati di tensione e angoscia, scava a fondo e senza remore in questo intricato rapporto, fra le sonorità scolpite dalla solida sezione ritmica e decorate dalle chitarre, ora pacate, ora devastanti, di Picciotto e MacKaye.

L'ouverture risponde al nome di "Turnover", un gioco di rallentamenti e accelerazioni, sconvolto dalle scosse telluriche della chitarra di Picciotto. E' l'introduzione perfetta a quella che sarà l'atmosfera alienata, tormentata e dissonante dell'album. La partenza è lenta e il finale esplosivo, irregolare, ustionante; il ritornello, scoratissimo, è fra i migliori del loro repertorio.
La title track - canta MacKaye - è la sintesi perfetta del tema dell'album, nonché uno dei pezzi migliori e più feroci: canto sgolato e gutturale del leader, muro di chitarre abrasivo e distorto. Mackaye esplicita qui tutta la sua filosofia e la sua visione negativa della brutalità della società occidentale, dove vige la legge del più forte e l'individuo viene ridotto all'impotenza. "Down by law, I've got this nasty habit/ When I need something I reach out and grab it/ Once upon a time I had a name and a way/ But to you I'm nothing but a number", canta nella strofa.
Nella strumentale "Brendan #1" la parte del leone la fa la sezione ritmica (al solito, perfetta nel cesellare pause e accelerazioni) che concede alle chitarre lo spazio per tratteggiare uno sfondo dalle tinte apocalittiche.
"Merchandise" è quanto di più immediato si possa reperire in questo album, essendo il pezzo più consono alla forma-canzone tradizionale, forma che il gruppo sconvolge e supera ripetutamente. Dal punto di vista musicale, è un anthem dall'impatto impressionante, MacKaye si fa portavoce di una folla che non ha nulla da perdere e urla uno slogan carico di rabbia ("We owe you nothing, you have no control!" è il violentissimo refrain).
Più apparentemente controllata è la successiva "Blueprint", strutturalmente complessa e articolata al punto da non poter essere ricondotta ad alcuno schema: inizio melodico di sola chitarra in crescendo, prosecuzione col canto di Picciotto, finale catartico.

In "Sieve Fisted Find" siamo a metà disco e la tensione sale. Il cantato di Picciotto da passionale e puerile si approssima a un singhiozzo, mentre il ritmo è sempre piu concitato nell'epico finale. La breve "Greed" è da annoverare tra i pezzi piu diretti, col canto urlato di MacKaye a scandire in modo disumano un semplice verso "You wanted everything, you needed everything": un pugno nello stomaco.
In "Two Beats Off", ennesima dimostrazione di classe, il gruppo attraversa più stili e Picciotto intona magistralmente una filastrocca, aggrappandosi al basso cupissimo di Joe Lally. Formula che sarà (ab)usata nel crossover, che di fatto questo pezzo anticipa di qualche anno nella sua forma più diffusa.
"Styrofoam", pezzo più lineare, recupera e approfondisce il tema della title track in modo altrettanto selvaggio e sgolato. A livello di canto e chitarra, i Fugazi in questo brano si comportano come terroristi sonori, tale è la scossa che suscitano le esplosioni dei refrain e le urla incessanti.

In linea con l'atmosfera inquieta dell'album, "Reprovisional" è una rivisitazione di un pezzo dell'Ep "Margin Walker" ("Provisional", appunto) in chiave più drammatica. L'attacco melodico fa a pugni col rumore dell'assolo e col canto di Picciotto, più roco, che sfiora la disperazione nel verso finale.
"Shut The Door" chiude il disco ed è il suo punto di massima tensione, reso da continue contrazioni e pause, con tanto di alternanza di melodia e rumore nel chitarrismo e nel canto di MacKaye, ora (sgraziatamente) melodico, ora urlato coi polmoni in gola. L'impatto di questo pezzo finale è paragonabile a un bombardamento di una città, dove l'ascoltatore inerme fa la parte delle case e non può sperare di salvarsi.

"Repeater" è stato ristampato in cd assieme alle tre canzoni dell'Ep "3 Songs", che poco aggiungono alla formula del capolavoro. La prima delle tre, "Song #1", dalla struttura convenzionale, è un inno a due voci in cui ricorrono tutti gli aspetti caratteristici del gruppo. Il messaggio può essere sintetizzato nei versi finali: "Life is what you want it to be/ So don't get tangled up trying to be free/ And don't worry what the other people see/ It's nothing." I due leader del gruppo si alternano alla perfezione. La strumentale "Joe #1" avanza lenta, impietosa, e lo sfrigolare delle chitarre incendia lentamente l'ascoltatore. E' un brano carico di pathos.
In chiusura "Break In" ribadisce quanto è stato detto finora con la variante della velocità: Picciotto si lancia in un'irrefrenabile e incalzante filastrocca a cento all'ora.

Al di là della qualità (altissima) dei singoli brani e della loro perfezione formale, "Repeater" è passato alla storia come una delle massime manifestazioni di quello che è stato il post-hardcore, influenzando (e anticipando) tendenze del decennio a venire e lasciandoci un manifesto del disagio del cittadino di fine secolo dinanzi a una società che dovrebbe preservarlo, ma lo soggioga. Negli anni a seguire i Fugazi hanno rinnovato e talvolta elaborato e ampliato la proposta di "Repeater", ma questo rimane probabilmente l'unico disco in cui tutti i punti di forza della band risultano perfettamente bilanciati.

29/10/2006

Tracklist

  1. Turnover
  2. Repeater
  3. Brendan #1
  4. Merchandise
  5. Blueprint
  6. Sieve-Fisted Find
  7. Greed
  8. Two Beats Off
  9. Styrofoam
  10. Reprovisional
  11. Shut the door

    3 Songs:
  12. Song #1
  13. Joe #1
  14. Break-In