Human League

Reproduction

1979 (Virgin)
synth-pop

Se c'è un album in cui i fasti britannici dell'avanguardia elettronica e della musica d'ascolto trovano la loro sintesi ideale, questo è "Reproduction". Originari di Sheffield, la stessa città dei maestri dell'analogico Cabaret Voltaire, seguendo un percorso iniziato nel 1977 sotto le insegne dei The Future, gli Human League realizzano nel 1979 il primo disco pop inglese interamente suonato con strumentazione elettronica, assimilando la lezione del Bowie berlinese, di Giorgio Moroder e dei Kraftwerk, ma declinandola con modalità del tutto inedite.

Anticipato di un anno dal singolo "Being Boiled/Circus Of Death" e di qualche mese dall'Ep "The Dignity Of Labour" (entrambi presenti fra i "bonus" della ristampa attualmente in commercio), "Reproduction" non solo traccia le coordinate del synth-pop che imperverserà negli anni a venire, ma si annovera tra i punti fermi di tutta la new wave, enucleandone i dettami che dall'essenzialità post-punk conducono all'esistenzialismo dark, attraversando le inclinazioni del romanticismo retro-futurista. Chi pensa di rintracciarvi l'accessibile atmosfera danzereccia e un po' ruffiana del plurimilionario, popolarissimo, "Dare" (uscito nel 1981 all'indomani della scissione che vide la dipartita di Martyn Ware e di Ian Craig-Marsh, che fondarono gli Heaven 17), e dei suoi singoli di facile presa, dovrà subito ricredersi.

Se è vero che "Reproduction", come si è detto, è un disco di canzoni e non d'astrattismi, non si può allo stesso modo affermare che esse siano state concepite per essere ballate, eccezion fatta per il singolo "Empire State Human" che, a discapito dell'epico cavalcare di un refrain memorabile, non riesce tuttavia a liberarsi dagli umori sotterranei e oscuri che contaminano tutta l'opera. E sinistramente oscuro è anche il sussurrato incipit di tastiere che introduce l'esplosione punk sintetica di "Almost Medieval", il cui straniante doppio colpo di drum machine contrappunta l'altrettanto percussivo fraseggio di sintetizzatore, in un virgulto robotico in cui è il caldo baritono di Phil Oakey a prenderne per mano l'incedere marziale: azzardate degli accostamenti plausibili se vi riesce, e cercate possibili derivazioni. Non le troverete.

Se "Almost Medieval" è il rutilante esercito che tutto travolge, "Circus Of Death" è il campo di battaglia dopo il suo passaggio, l'inalienabile progressione del buio che divora i bagliori di fuoco, il macabro volteggiare di una giostra solo accidentalmente risparmiata al disastro. Anche in questo caso, e se possibile in misura maggiore, a dominare la scena è l'illuminato registro di Oakey, grazie a un mood più vicino a una recitazione che non al cantato vero e proprio. E sono melodie, come quelle che s'infrangono sul ritmo del cuore artificiale che (ri)prende a battere in "The Path Of Least Resistance", preludio alla fantascientifica galoppata di "Blind Youth" in cui il gioco di commistioni e di richiami fra un passato remoto e un ignoto futuro, che delineano tutto l'album, si paventa nel passaggio: "Dehumanisation/ is such a big word/ It's been around since/ Richard The Third". E' il canto di chi si pone, con distaccato aplomb, sull'eterno domani che da un verso spaventa, e dall'altro reclama d'essere vissuto: cieca la gioventù, così come il destino che la segue.

Sono reiterazioni parlate quelle di "The Word Before Last", l'ipermodernismo di un'inquietudine pensata ad alta voce con l'occhio che mira inaspettato al presente d'allora: "I spent a bad day yesterday/ With a man and a picture of himself/ The tape was running and the Tv turned/...and described Mrs. Thatcher's first three months in power as disastrous", fino a sfociare nel sarcastico superomismo della già menzionata "Empire State Human" ("I want to be tall/ As big as a wall/ And if I'm not tall/ then I will crawl"). Si chiude qui, per i fortunati (?) possessori del vinile, la "side one". La circostanza è tutt'altro che secondaria, visto che ad attenderci, sulla "side b", è l'incantevole "Morale... You've Lost That Loving Feeling", la quale segna un repentino cambio d'atmosfera. Si tratta di una suite ambientale della durata di quasi dieci minuti che, a dispetto dell'introduzione di cui la band è a ogni modo autrice ("Morale...", appunto), è la rilettura di un brano anni 60 portato al successo dai The Righteous Brothers. Ma è anche uno di quei casi in cui la cover supera in bellezza l'originale, che da riuscito motivo pop figlio di un'era, e della durata di 3 minuti, viene trasformato da Ware e soci in un notturno lento e dilatato, denso di struggente malinconia.

"Austerity/Girl One", con le sue monofonie per synth e voce, ci riconduce su binari d'umore e di movimento speculari a "Blind Youth", mentre a chiudere è il clap sintetico di "Zero As A Limit" che progredisce in crescendo, lanciando la macchina della lega umana verso lo schianto finale. Perché "Reproduction" schianta, segnando indelebilmente, col suo fragore, la storia tutta della musica elettronica.

01/02/2006

Tracklist

  1. Almost Medieval
  2. Circus Of Death
  3. The Path Of Least Resistance
  4. Blind Youth
  5. The Word Before Last
  6. Empire State Human
  7. Morale... You've Lost That Lovin' Feelin'
  8. Austerity / Girl One (Medley)
  9. Zero As A Limit