Le mystère des voix bulgares

Le mystère des voix bulgares

1975 (Disques Cellier)
musica tradizionale bulgara

C'è musica che non muore mai, e musica che vive più di una volta. Musica che non ha una sola storia ma più storie, che si intrecciano e si passano il testimone in una narrazione fatta apposta per essere raccontata. "Le mystère des voix bulgares" è uno di questi casi: un disco nato da registrazioni condotte in Bulgaria a partire dagli anni Cinquanta del Novecento, scoperte e arricchite da un musicologo svizzero all'inizio degli anni Sessanta, pubblicato a metà del decennio successivo con un titolo in francese, ed esploso come fenomeno discografico sul finire degli anni Ottanta, grazie a una coppia di ristampe presso etichette indipendenti in Gran Bretagna e negli Stati Uniti.
Ma la vicenda – incredibile ma vero – è anche più articolata di così.

Un viaggio attraverso il tempo

Un possibile punto d'inizio è l'innovazione musicale del compositore e maestro d'orchestra bulgaro Filip Kutev, che rielaborò gli elementi tradizionali – canti monofonici e danze tramandate oralmente – con tecniche derivate dalla musica colta. Introdusse l'uso di droni, polifonie vocali ravvicinate che a volte si scontrano in dissonanze, e una fusione di contrappunti delicati che accompagnano cambi improvvisi di tempo, intensità e grana sonora. E poi elementi mutuati dall'impressionismo di Debussy e dalle sperimentazioni dodecafoniche di Schoenberg, realizzando così una sintesi inedita, in cui il materiale folklorico veniva trasformato in una forma compositiva nuova e ardita, ma capace di intrattenere relazioni profonde con le radici popolari. Nel 1951, il governo comunista bulgaro lo nominò direttore del primo ensemble statale, il Darzhaven Ansambal Za Narodni Pesni I Tantsi (Ensemble nazionale di canti e danze popolari), con l'obiettivo di epurare la musica popolare dagli elementi considerati “anti-socialisti” e renderla un simbolo di progresso. Kutev, però, non si limitò a una mera opera di propaganda, né alla pura documentazione etnografica: il suo lavoro innovativo riuscì a combinare modernità ed eredità locale, e divenne il modello per numerosi altri gruppi statali, contribuendo alla diffusione di questa nuova versione della tradizione.

Parallelamente al lavoro di Kutev, la musica bulgara iniziò ad avere una diffusione nel resto d'Europa grazie a raccolte come "Folk Music Of Bulgaria" (1964), "A Harvest, A Shepherd, A Bride: Village Music Of Bulgaria" (1970), "In The Shadow Of The Mountain – Bulgarian Folk Music" (1970), che misero musicisti e curiosi occidentali a contatto diretto con le peculiarità ritmiche di questa tradizione, precedente note perlopiù attraverso le rielaborazioni del celebre compositore ungherese Béla Bartók.
La scansione metrica tipica delle danze bulgare, identificata dal termine turco aksak ("zoppicante"), non segue le consuete misure regolari ma si articola in schemi additivi segmentati – ad esempio, 7/8 + 5/8 + 4/4 + 13/16 – che creano un flusso continuo, in cui ogni cellula ritmica ha una sua logica interna, strettamente connessa alla melodia.

Il fascino esercitato da queste registrazioni sui musicisti al di qua dalla Cortina di ferro può essere tracciato in modo puntuale, anche se non sempre agile. Grandi debitori furno i nostrani Area, che trassero ispirazione dalle raccolte in possesso di Demetrio Stratos: "Cometa Rossa" di "Caution Radiation Area" è una reinterpretazione di "Krivo Horo" (su "Village Music Of Bulgaria", mentre "Luglio, agosto, settembre (nero)" riprende in due parti la "Bulgarian Suite" su "Music Of Bulgaria" di Kutev. Più complesso è documentare la filologia di uno dei pezzi forse più iconici del folklore bulgaro, "Smeceno Horo", reso celebre agli amanti del folk celtico da "After The Break" degli irlandesi Planxty e poi reinciso da numerosi artisti: il brano era già apparso sotto mentite spoglie nel 1969 come "Bulgarian Bulge", su "The New Don Ellis Band Goes Underground". La ricerca di una fonte comune sembra puntare al raro "Bulgarski Narodni Instrumentalni Melodii", uscito sull'etichetta statale bulgara Balankton nel 1962.

Sia come sia, il percorso di diffusione della musica tradizionale bulgara assume una svolta decisiva con l'intervento di Marcel Cellier. Musicologo, organista e instancabile viaggiatore, Cellier percorse l'Europa dell'Est con la moglie e musicologa Catherine, armato di un ingombrante registratore Telefunken a bobina aperta. Nonostante le tensioni della Guerra Fredda e il sospetto verso gli stranieri, i due riuscirono a ottenere il permesso di visitare regolarmente la Bulgaria dalla fine degli anni Cinquanta. Tra la capitale e le campagne, documentarono un repertorio che altrimenti sarebbe rimasto confinato negli archivi di Radio Sofia.
Di ritorno in Svizzera, Marcel Cellier iniziò a trasmettere queste registrazioni nel suo programma radiofonico settimanale "Du Danube à la Mer Noire", in onda dal 1960 al 1985. Con una sensibilità quasi mistica, Cellier selezionò lungo più di dieci anni episodi da valorizzare, riconoscendone non solo il valore etnografico, ma soprattutto un potenziale emozionale trans-culturale. Così, nel 1975, attraverso la sua etichetta personale Disques Cellier, pubblicò il vinile "Le mystère des voix bulgares", raccolta che univa le registrazioni realizzate personalmente - anche coinvolgendo il coro di Kutev - con quelle recuperate dagli archivi. Un passo fondamentale della rivoluzione che sarà chiamata world music.

I brani: fra tradizione e sperimentazione

"Pilentse pee" ("Canta l'uccellino") dà il via all'album con la promessa di una rivelazione mistica. Le voci, potenti e penetranti, si intrecciano sopra un drone costante, creando un’atmosfera quasi sacra, in cui ogni suono si libera pur mantenendo la propria identità. Come osserva la cantante Zola Jesus, grande amante del disco, "si libera qualcosa che è rimasto chiuso per secoli, anche se non saprei dire cosa. Mi riempie di meraviglia e soggezione". Un'apertura che invita l'ascoltatore a immergersi in un mondo in cui il confine tra tradizione e trascendenza si fa labile.

Proseguendo, "Kalimankou Denkou" ("Raduno serale") emerge come il cuore pulsante dell’album. Si tratta di una profonda rielaborazione di una melodia della regione di Strandzha, nella parte sudorientale del paese, in cui le voci si intrecciano alternando momenti di intensa libertà ritmica a cambiamenti armonici molto significativi. La composizione oscilla tra una sensazione di fluidità e una struttura più solida, passando attraverso sequenze armoniche che sfidano le aspettative convenzionali. Il culmine del brano si ha attorno alla fine del secondo minuto, con una cadenza perfetta V-I che si prolunga in modo lacerante attraverso una cascata di voicing e cluster anomali. Il compositore Krasimir Kyurkchiiski, responsabile delle scelte armoniche del pezzo, sfrutta gli intervalli con versatilità per determinare una sensazione di apertura e chiusura dello spazio: mantenendo una delle voci sospesa su un La diesis, e avvicinando le altre, Kyurkchiiski crea un cluster di Sol diesis-La diesis-Si che trattiene la risoluzione anziché concederla pienamente. Anche l’accordo finale di tonica presenta al suo interno un intervallo di seconda maggiore, tipico della tradizione corale bulgara, che intensifica la tensione nel momento stesso in cui - teoricamente - dovrebbe risolverla. Riferendosi al pezzo in un'intervista, George Harrison ne disse: "Questo è il tipo di musica che non raggiunge molte persone perché nessuno la suonerà mai, ma allo stesso tempo penso che il mondo sarebbe molto migliore se tutti fossero costretti ad ascoltarla".

"Ergen deda" ("Il vecchio scapolo") presenta strofe scandite in 7/8, arricchite da sincopi, espansioni armoniche e improvvise variazioni dinamiche che ne spezzano la linearità. Il risultato è un dialogo tra tensione e rilascio, un percorso in cui il ritmo diventa metafora di un rivolgimento interiore, sospeso fra ordine e caos. Il paesaggio sonoro si espande ulteriormente in "Prituritze planinata" ("La montagna si è abbattuta"), dove il timbro silvano del flauto kaval si fonde con arrangiamenti orchestrali e melismi vocali. Trilli, ornamenti glottali e falsetti che esaltano l’espressività di questo raro episodio monofonico.
Il percorso si conclude con "Polegnala e Todora" ("Todora è distesa"), uno degli episodi più emblematici dell’album. Scritto da Filip Kutev nel 1953 a partire da un motivo tradizionale, il pezzo si sviluppa in 11/16 alternando una sezione corale a una parte per quartetto solista. Nella seconda parte, interamente composta da Kutev, le cantanti sono sfidate a esplorare registri bassissimi, offrendo una stratificazione armonica in cui le voci si intrecciano con la precisione di uno strumento a fiato.

In una testimonianza sulla sua passione per l'album, l'artista Julia Holter cattura il senso di fascino e spaesamento generato da un approccio alla polifonia così unico: "Non so se 'dissonanza' sia la parola giusta, perché in fondo è un concetto spesso soggettivo. Ma, sì, ci sono queste armonie inaspettate che emergono nelle trame vocali". E ancora: "Tutte le componenti del gruppo hanno una spinta nella loro voce e la stanno usando. Non so esattamente di cosa si tratti a livello tecnico, ma è una certa gamma vocale che stanno sfruttando".
Riesce a essere più dettagliata Dora Hristova, direttrice del coro dal 1988, osservando che "quando due cantanti intonano intervalli di seconda, quarta, settima, tradizionalmente intesi come dissonanti, le loro voci suonano come due campane che risuonano, ed evocano danzatori che saltano e si muovono con queste campane alla cintola". Terminato l'ascolto dell'album, in effetti, immagini e sensazioni persistono, come un'eco che vibra nell’aria anche dopo che l'ultimo rintocco si è spento.

Dopo il disco: eredità, riscoperta e impatto culturale

Per più di un decennio, "Le mystère des voix bulgares" rimase un'opera di culto, diffusa principalmente tra collezionisti e appassionati di etnomusicologia. La svolta arrivò grazie all'etichetta 4AD, fondata da Ivo Watts-Russell, che scoprì il disco attraverso Peter Murphy dei Bauhaus. Fu proprio Murphy a consigliarglielo, colpito dall’unicità del canto e dal suo potenziale per un pubblico più vasto. Watts-Russell lo ascoltò per la prima volta in studio con Murphy e ne rimase folgorato: "Ero pronto per andarmene quando partì la cassetta. Il brano iniziò, e mi colpì così tanto da costringermi a sedermi”. L’entusiasmo del fondatore di 4AD per il progetto si inseriva nel più ampio interesse dell’etichetta per sonorità eteree e fuori dagli schemi, che già caratterizzavano il suo catalogo, dominato da gruppi come Cocteau Twins e Dead Can Dance.
Nel 1986, 4AD ripubblicò "Le mystère des voix bulgares" in un'edizione curata anche nell'aspetto visivo, con una copertina che ne esaltava il fascino enigmatico. L'operazione fu un successo: il disco ottenne un’accoglienza entusiasta dalla critica e attirò l’attenzione di un pubblico sempre più ampio.
Il riscontro europeo convinse la Nonesuch Records a pubblicarlo negli Stati Uniti nel 1987, dove l’album entrò nella classifica Billboard della World Music e vinse un Grammy nella categoria "Best Traditional Folk Recording" – un traguardo notevole per una raccolta di canti tradizionali provenienti dal blocco socialista. L’eco della riscoperta portò il Bulgarian State Radio & Television Female Vocal Choir - figlio del progetto di Kutev - a esibirsi in tournée internazionali, alimentando un rinnovato interesse per la polifonia bulgara su scala globale.

Sulla scia di questa popolarità, "Le mystère des voix bulgares" divenne un progetto continuativo, con nuove pubblicazioni e collaborazioni. Nel 1989, Kate Bush coinvolse il Trio Bulgarka (parte del Bulgarian State Radio & Television Female Vocal Choir) in tre brani di "The Sensual World". L’incontro lasciò un segno profondo sulla cantautrice: "All’improvviso mi ritrovai a lavorare con tre donne di una cultura completamente diversa. Non avevo mai collaborato con donne a un livello creativo così intenso, ed era strano sentire questa energia femminile così forte nello studio. Anche il modo in cui gli uomini reagivano era interessante: non c’era più solo una donna, ma una presenza femminile potente".
A più di mezzo secolo dai suoi primi passi e dopo oltre sedici uscite discografiche, la storia di questo ensemble prosegue ancor oggi, sotto la conduzione di Dora Hristova, tra riscoperta appassionata e continuo rinnovamento.

(Il testo integra elementi dalla ricca monografia dedicata al progetto da Giuseppe D'Amato, a cui si rimanda per un ulteriore approfondimento)

30/03/2025

Tracklist

  1. Pilentse pee
  2. Svatba
  3. Kalimankou Denkou
  4. Strati na Angelaki dumashe
  5. Polegnala e pshenitsa
  6. Mesechinko lyo greïlivka
  7. Breï Ivane
  8. Ergen deda
  9. Sableyalo mi agontse
  10. Prituritse planinata
  11. Mir Stanke le
  12. Schopska pesen
  13. Polegnala e Todora

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