I fratelli Alberto e Luca Ferrari e Roberta Sammarelli sono tre adolescenti della provincia bergamasca. Nel paesotto non c’è molto da fare, gli inverni freddi e nebbiosi si trascorrono ascoltando tutto il rock alternativo che arriva dagli Stati Uniti, grunge in primis, e quelle formazioni italiane che cercano di replicarlo senza sfigurare (vedi Marlene Kuntz). Poi imbracciano gli strumenti e restano ore a suonare in una saletta prove ricavata dal celeberrimo pollaio di casa, emulando quei suoni.
Alberto suona la chitarra, canta, ha dentro tanta rabbia ed introspezione che riesce ad incanalare in una scrittura già molto personale, Luca si siede dietro la batteria, Roberta si dimena sul basso. I risultati delle prime esperienze confluiscono in un demo che circola in zona, attirando curiosità. Di lì a poco arriva la firma per una major, la Universal, che intravede il colpaccio, e nel 1999 ecco la miracolosa deflagrazione, nelle sembianze di un album che concretizza i sogni dei tre ragazzi della provincia cronica italiana, un meraviglioso esordio che prende lo stesso nome del gruppo: “Verdena”.
Il disco è ripieno del teen spirit figlio dei Nirvana, dai testi emergono confusione e stati di agitazione, i giovani di tutta Italia si identificano immediatamente nelle canzoni di questi tre coetanei (Alberto, il più grande ha appena 19 anni), scritte usando le parole come suoni e la voce come uno strumento in più. Inevitabili alcune ingenuità, figlie dell’inesperienza, alla quale sopperisce in parte la presenza dell’esperto Giorgio Canali in cabina di regia, che aiuta i Verdena ad indirizzare in maniera efficace tutta l’energia possibile.
E se “Valvonauta” è il pezzo che lancia in orbita il trio, con la sua carica irresistibile ed il testo giovanilistico, i momenti notevoli sono parecchi, a partire dalle prime note dell’iniziale “Ovunque”, passando per quella “Pixel” che sa di Smashng Pumpkins sin nel midollo (l’attacco pare proprio mutuato da “Today”), per giungere a “L’infinita gioia di Henry Bahus”, una delle vette del disco, completamente immersa nel più puro Nirvana mood.
“Verdena” è un disco privo di riempitivi, che a tratti sa persino cullare dolcemente (“Vera”, “Bambina in nero”), o regalare ipnotici strumentali (“Caramelpop”), anche se a prevalere è di gran lunga l’elettricità (“Dentro Sharon”, “Zoe”), sovente travasata in una forma di pop alternativo ricoperto di chitarre aggressive (“Viba”, altro inno generazionale) o modulata in saliscendi emozionali (“Ultranoia”).
La lunga conclusiva “Eyeliner” sembra voler anticipare i futuri movimenti della band, che nei dischi successivi saprà scrollarsi di dosso il marchio di teen band per lanciarsi persino verso derive psichedeliche, sfornando dischi ispiratissimi destinati a spostare l’asticella sempre più in alto.
29/01/2015