La reazione alla mediocrità è quasi certamente e quasi sempre nella semplicità. "The Lemon Of Pink" assorbe i concetti e li depone su di un tessuto dalle stesse figure viste e sentite sul precedente "Thought For Food" ma lo fa dipanandosi tra collage di suoni, assemblaggi di minuscoli dettagli e citazioni.
La mera descrizione della musica di "The Lemon Of Pink" reciterebbe pressapoco così: il giusto ibrido tra elettronica e strumenti acustici, uno stile che sa di Gastr Del Sol così come di un qualsiasi sogno a colori di David Grubbs e lo fa ricorrendo ai collage, alla parola recitata ma mai campionata, all’energia suadente del violoncello, così come alle aperture ritmiche delle chitarre, siano esse acustiche o aventi solamente 4 corde spesse e dal suono greve.
Tutto qui? No. Perché occorre saper distinguere tra melodia e armonia, immagine e descrizione, epifania e sensazione: tutte dicotomie che rendono giustizia a un album che va vissuto lasciandolo scorrere, facendo in modo che si muova liberamente prendendosi i suoi tempi.
Tracce come "S If For Everysingh" riconciliano con l’elettronica perché la umanizzano, la rendono imperfetta al punto tale che non è più possibile distinguere tra strumento e hardware, suono e stringa di sintesi. Il loop è conciliante, lo scheletro ritmico è retto ora da suoni rovesciati ("There Is No There"), ora da una vecchia chitarra strimpellata con fare blues, intrecciando se stessa e la voce in un vortice di suoni in crescendo (la title track).
"Take Time", "That Right Ain't Shit" sono tracce dal ritmo, dal respiro nettamente diverso, eppure riescono a non perdere il filo dell'album e si integrano alla perfezione (o meglio "all'imperfezione") col contesto.
Il duo Zammuto/De Jong trova con "The Lemon Of Pink" la quadratura di un cerchio stilistico che aveva iniziato il suo tracciato con "Thought For Food", perdendosi tra le proprie tracce e gli stessi spunti proposti. La confusione ora ha preso le forme di un disegno impreciso e, per questo, veramente sublime.
16/02/2009