Ma allora com'è in definitiva il lavoro d’esordio di questi Kings of Leon? Non è una "next big thing", questo è certo, le qualità tecniche dei quattro non sono eccelse, specie nella voce di Caleb, e sinceramente canzoni come "Joe's Head" e "Trani" sono alquanto bruttine, senza contare il fattore derivazione che qui tocca vertici assoluti. Tutto è nostalgia, tutto è riconducibile di netto a quel tipo di rock anni 70, aderiscono a quel movimento persino nei vestiti e nelle capigliature i fratelli Followill... Sembra, insomma, di essere stati catapultati da una macchina del tempo in Alabama o in Tennessee nei primi anni 70: barbe, capelli lunghi e jeans a zampa.
Però... Chiunque, come me, abbia amato Allman Brothers, Lynyrd Skynyrd, Creedence Clearwater Revival e simili non riuscirà in coscienza a odiarlo, battere il piedino sugli inizi di "Red Morning Light" sarà un riflesso incondizionato e piacevole, perché sono in tanti quelli per cui questo rock sudato e sguaiato ha un suo fascino.
"California Waiting", "Molly’s Chamber" e, soprattutto, "Holy Roller Novocaine" sono pezzi validi: benché semplici ed elementari, trovano proprio in questo un'immediatezza rock che sarebbe sbagliato non riconoscere anche da chi di certo tipo di musica non vuol sentir parlare.
Non un grande disco, comunque, incensato al di là dei suoi reali meriti e pregi e che regge pochi ascolti anche dagli appassionati del genere; nemmeno, però, un album da disprezzare tout court, perché ogni tanto è bello essere un po' grezzi e magari saranno in tanti a storcere il naso per poi concedersi un giro di macchina con "Youth & Young Manhood" in sottofondo. Diciamocelo, in mezzo a vini e liquori di qualità ogni tanto, col caldo, ci sta bene anche una bella birretta, anche se non freschissima.
(28/10/2006)