Fiona e l'album che visse due volte. Si potrebbe intitolare così la telenovela (a lieto fine) di "Extraordinary Machine", l'ultimo, travagliatissimo lavoro della cantautrice di New York. Ma ricapitoliamo le puntate precedenti... Fiona Apple, giovane e carina stella del firmamento cantautoriale americano, diventa anche disoccupata quando la Sony, con la lungimiranza che contraddistingue le major (sic!), le "congela" l'uscita del terzo disco ritenendolo "poco appetibile". In altre parole: la conturbante piano-girl di "Tidal" e "When The Pawn..." aveva deciso di non ridursi a Jewel da bigiotteria musicale e gliel'avevano fatta pagare. Ma nell'era di internet, la fiaba di Fiona la dolce contro la multinazionale cattiva non poteva finire così: un esercito di fan, armati di peer-to-peer, si è mobilitato per riscattare la propria beniamina al grido di "FreeFiona!". Ed ecco per incanto, tre anni dopo, riemergere il negletto "Extraordinary Machine", sempre sotto i vessilli di casa Sony.
Difficile capire se sia stata davvero la rivolta dei fan a determinare la resurrezione. Di certo, il successo della copia-pirata diffusa nel web, cavalcato con la proverbiale melodrammaticità della Nostra ("Ho pianto quando ho visto tutti quei ragazzi che protestavano per me"), è stato il traino ideale per un disco che si preannunciava come il più delicato della sua carriera. A farne le spese è stato il produttore di quelle tracce originarie, Jon Brion, "ripudiato" dalla stessa Apple in favore di Mike Elizondo, vecchia volpe della scena hip-hop (Eminem, 50 Cent, Dr. Dre), già al fianco di Sheryl Crow e Gwen Stefani. Ne è nato un disco pesantemente rimaneggiato rispetto alla versione online e con arrangiamenti più convenzionali: difficile non credere che il "barocchismo" di Brion sia stato la vittima sull'altare della riconciliazione tra Fiona e la sua label. Basti solo ascoltare il pop da camera della title track e il valzer della conclusiva "Waltz", le uniche tracce sopravvissute al passaggio di consegna tra i due produttori. Ridimensionata l'enfasi sinistra degli archi, Elizondo ha preferito spingere su organo e batteria, spargendo mirati loop, sparute chitarre e qualche pulsazione dance. Che sia stato così rovinato o valorizzato il fascino dell'originale rimarrà l'eterno dilemma da consegnare ai posteri.
Eccoci, dunque, a questi dodici brani, spicchi agri di un amore in dissoluzione (quello tra la cantautrice e il regista di "Magnolia", Paul Thomas Anderson) e testimonianze di una personalità ormai lontana dai turbamenti tardo-adolescenziali di "Tidal". La ragazzina umbratile che nel 2000 abbandonò in lacrime il palco del Roseland di New York ha affinato il suo songwriting, facendone lo specchio di una donna matura, che ha deciso di regolare i conti col passato (a cominciare dalla drammatica vicenda di violenza sessuale che l'accomuna alla sua alter ego "sudista", Tori Amos). "Extraordinary Machine" riflette questo mood più pacato, senza tuttavia rinunciare alle impennate passionali che avevano fatto la grandezza dei suoi predecessori.
Si diceva delle due tracce superstiti di Brion: la title track iniziale è un numero alla Judy Garland, con il cantato soft di Fiona che si insinua tra fiati, archi, marimba e campanelli, in una cornice da music-hall hollywodiano; sempre nel solco di un'orchestrazione d'altri tempi, la conclusiva "Waltz (Better Than Fine)" ripercorre con eleganza traiettorie di pop obliquo, che spaziano da Van Dyke Parks a Badly Drawn Boy.
Arrangiamenti di cui non v'è più traccia nel resto del disco, dove la vera protagonista è l'accoppiata piano-voce. Il robusto contralto della Apple colora di tinte scurissime la love-story di "Get Him Back" ("Voltati e vedrai la mia faccia mentre immagina come uccidere ciò che non posso avere"), insieme a una foga pianistica degna del Cave più invasato; è sempre il piano ritmico a trascinare "O' Sailor", una delle sue tipiche ballate sognanti e gonfie di pathos; mentre un bell'assolo à la Ben Folds impreziosisce "Not About Love".
Se in episodi pop più ordinari, come "Better Version Of Me" o "Red Red Red", Elizondo si limita ad accendere i riflettori sulla chanteuse al piano, in "Tympse" riesce a sfruttare al meglio la sua verve hip-hop, con un incedere sbilenco, propulso da beat quasi dance. Uno slancio ritmico ribadito anche nel crescendo di "Window", dove è palese anche l'omaggio al blues alticcio di Tom Waits, da sempre riferimento cardinale per la cantautrice newyorkese.
Fiona Apple, insomma, c'è. Seppur con qualche prodigio melodico in meno e con la voce un po' arrocchita dagli anni. Resta il sospetto che quel rinnegato bootleg tutto archi, rabbia e spettri potesse valere molto di più, che Elizondo (e la Sony) abbiano maldestramente inseguito il motto beatlesiano del "take a sad song and make it better". Ma i fan possono fare festa: Fiona è libera e lotta insieme a noi.
24/04/2012