Ascoltare i Go-Betweens di "Oceans Apart" è come ritrovarsi all'improvviso nel bel mezzo di una scena di "Donnie Darko", con i Church a fare da colonna sonora alla festa di Halloween di un gruppo di teenager sballati, mentre in televisione scorrono le immagini della sfida tra Bush sr. e Dukakis. Proprio in quei giorni di fine anni Ottanta, i Go-Betweens stavano per decidere di separare le loro strade, che si sarebbero riunite soltanto dodici anni dopo.
Ma i Go-Betweens dell'anno di grazia 2005 sono soltanto un gruppo per nostalgici degli Eighties? Sarebbe facile liquidarli in questo modo: ma poi bisognerebbe fare i conti con il fatto che la seconda giovinezza della band di Robert Forster e Grant McLennan, quella iniziata con la reunion di "The Friends Of Rachel Worth" nel 2000, si sta sorprendentemente rivelando anche più brillante della prima. Il seguito di culto che i Go-Betweens si sono riconquistati parla chiaro, se è vero che persino nel seguitissimo serial "24" i produttori hanno voluto rendere loro omaggio, inserendo nella trama una società dall'eloquente nome "McLennan-Forster"… Il fatto è che, come ammette senza esitazioni McLennan, ai Go-Betweens non interessa la musica che si apprezza con il cervello ma che non soddisfa il cuore. E quella della band australiana è per l'appunto una musica fatta per parlare direttamente al cuore, senza troppe mediazioni intellettualistiche e senza timore di venire sprezzantemente relegata da qualcuno sotto l'etichetta "pop". Anche i Beatles facevano pop, no? E nel manuale della perfetta pop-song un capitolo dovrebbe essere senz'altro dedicato al brano di apertura di "Oceans Apart", "Here Comes A City", una di quelle semplici magie capaci di conquistare fin al primo ascolto, come già era riuscito a "Make Her Day" nel precedente "Bright Yellow Bright Orange".
Con il suo ritmo squadrato e le sue chitarre nervose, l'istantanea di viaggio tratteggiata da Forster in "Here Comes A City" è la migliore pagina apocrifa dei Rem dell'era pre-Warner che si possa aspirare a sentire nel nuovo millennio. Il resto del disco, che prende il nome da un bar londinese in stile Florida dove Forster e McLennan erano soliti rifugiarsi durante le pause della registrazione dell'album, scorre lungo i litorali di ritornelli più morbidi e nostalgici. Fin dall'elegante bianco e nero della copertina, "Oceans Apart" si presenta così come l'episodio più tenuemente malinconico della seconda fase della carriera del gruppo australiano.
La produzione di Mark Wallis, già a fianco dei Go-Betweens nel loro ultimo album prima della separazione, "16 Lovers Lane", rinuncia alle orchestrazioni sofisticate, lasciando da parte gli archi per privilegiare il suono di chitarre e tastiere, con qualche sporadica concessione alle ritmiche elettroniche. Un'atmosfera che non a caso riporta alla memoria le ombre soffuse dei Church di "Starfish" (sì, proprio quelli che accompagnavano i turbamenti del giovane Donnie Darko…), collezionando carezzevoli ballate come "Finding You", "Boundary Rider" e "Darlinghust Nights", con il suo finale rilucente di ottoni in cui Forster si lascia andare al ricordo della vita bohémienne di Sydney nei primi anni Ottanta.
È vero, a tratti il romanticismo di "Oceans Apart" rischia di scivolare nella sdolcinatezza… Ma ci pensa il Morrissey spezzacuori di "The Statue" a trasformare in infatuazione anche quella che potrebbe sembrare soltanto una svenevole languidezza. Un'unione tra Pet Shop Boys e Bob Dylan, l'ha definita qualcuno, ma McLennan preferisce immaginarla come un incontro tra Serge Gainsbourg e Ladytron…
Nella prima edizione limitata dell'album, il bonus disc in omaggio contiene le versioni live di cinque vecchi brani della band, registrati nel 2004 in occasione di un concerto a Londra: un inno come "Bye Bye Pride", però, non ha più l'ingenua energia di vent'anni fa… Allora, bando alla nostalgia: meglio tuffarsi senza rimpianti nei nuovi oceani dei Go-Betweens, senza preoccuparsi troppo dello strano paradosso spazio-temporale che ce li riconsegna oggi più giovani di ieri.
01/05/2018