The Most Serene Republic

Underwater Cinematographer

2005 (Arts & Crafts)
alt-pop

Uno degli ultimi fenomeni musicali di moda è quello di rivisitare la materia pop in tutte le sfaccettature possibili. Spesso questo significa prendere un cumulo disparato di strumenti ed intrecciarli nel modo più bizzarro possibile, con la linea melodica di base che svaria in territori poco soliti, fuori tempo e/o fuori senno. Tra i capostipiti di questa scena sono da annoverare i Broken Social Scene. La Arts&Crafts ha creato con essi in Canada un vero e proprio marchio di fabbrica: ed è a questo marchio che si sottopongono supinamente i Most Serene Republic.

Il loro "Underwater Cinematographer" è infatti l'ennesima raccolta di stramberie strumentali da ensamble, con in aggiunta un pesante tocco elettronico, spesso indispensabile a conferire quel suono sottomarino ricercato dalla band (tutti i pezzi sono immersi in una coltre o ricoperti da una patina — a seconda dell'invadenza — di rumore). Il problema del disco è che l'ambizione trova pochissime soluzioni di sfogo, finendo per involversi in inutili sovrastrutture, lasciando i brani a miagolare a vuoto. "Content Was Always My Favourite Colour" è la perfetta testimonianza di tutto ciò: paesaggio acquoso dagli arrangimenti ricchissimi, pop destrutturato a più fasi, chitarre e tastiere di ogni sorta, nulla però che riesca a prendere il pezzo per le corna ed incanalarlo su di una strada giusta. Resta solo qualche spunto, come il motivo di piano conclusivo. E' questo il canone, dicevamo, e vi si allineano subito "The Protagonist…", ancora a vagare senza trovare il bandolo, nonostante il solito buon piano dal sapore classico, rivelando piuttosto l'essere monocorde della voce cantante in tutta la sua piattezza; e "Where Cedar…", che si presentano sulla carta proprio come i pezzi più pirotecnici sui quali dovrebbe fondarsi il valore del disco e sui quali invece poggia la sua disfatta.

Accade così che le cose migliori vengano quando si pongono i doverosi limiti di caratura. "Proposition 61" regala un pizzico d'incanto con il suo giro di chitarra pensoso che, accompagnato da battiti di mani, si sviluppa lungo linea fissa, permettendo intrusioni solo decorative (voce femminile, percussioni vocali, pulsazioni elettriche, spifferi di fiati); al contrario la acustica brasiliana di "King of No One" non riesce a reggere il pezzo. Ulteriori spunti sparsi si presentano, pur senza realizzare cose di livello, in "In Places, Empty Spaces" con la sua eterea atmosfera di campanellini (che poi si apre, male, in canzone pop) ed in "Relative's Eyes" che presenta qualche buon giro di chitarra.

Non si può che terminare con una bocciatura. I Most Serene Republic si presentano come una band estremamente acerba, specie riguardo il livello cartaceo del progetto iniziale, finita per pagar dazio alla stessa esistenza della moda indie-pop del momento. Solita storia: troppi dischi e troppo presto.

Tracklist

  1. Prologue
  2. Content Was Always My Favourite Colour
  3. (Oh) God
  4. The Protagonist Suddenly Realizes What He Must Do in the Middle of Downtown Traffic
  5. Proposition 61
  6. Where Cedar Nouns and Adverbs Walk
  7. In Places, Empty Spaces
  8. Relative's Eyes
  9. King of No One
  10. You're a Loose Cannon McArthur... But You Get the Job Done
  11. Epilogue

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