Benedette fanfare balcaniche! Ridotte per decenni a folklore da periferia del mondo, sono riemerse dall'Underground jugoslavo di Kusturica, sdoganate dall'astuto Bregovic, che ha saputo divulgarne il suono col giusto appeal.
Da allora (1995), quegli ottoni smargiassi hanno cominciato a strombazzare in ogni dove, che fossero quelli jazzati della macedone Kocani Orkestar o quelli più "all'amatriciana" dei nostrani Acquaragia Drom.
Parallelamente, si è sviluppato anche il recupero di un'altra importante tradizione folk, quella della musica kletzmer, nata nei villaggi ebraici dell'Europa orientale e poi contaminatasi in America con jazz e blues. E' nato così un nuovo crossover etnico che, dai lavori più d'avanguardia di marca John Zorn/Masada si estende alle recenti produzioni firmate Black Ox Orkestar e Beirut. Gypsy brass band e orchestrine klezmer a braccetto con ensemble free-jazz, nel segno del nomadismo e dell'etnologia musicale.
In questa variopinta carovana si può collocare anche A Hawk And A Hacksaw, il progetto solista di Jeremy Barnes da Albuquerque (New Mexico), già dietro i tamburi di due band-chiave dell'indie-rock anni 90, Neutral Milk Hotel e Bablicon.
Dopo il divertissement un po' velleitario dell'omonimo esordio e il più riuscito melting pot panetnico di "Darkness At Noon", A Hawk And A Hacksaw torna ora sotto forma di duo - al fianco di Barnes è ormai in pianta stabile la violinista Heather Trost - con un disco che rinnova il fascino di una ethno-music fuori dal tempo. Un sound che impasta sabbia del deserto messicano e polvere dei Balcani, profumi mediterranei e spezie mediorientali.
Più dichiaratamente "folk" dei predecessori, imperniato quasi per intero sull'asse fisarmonica-violino (con il contributo di Zach Condon dei Beirut alla tromba), "The Way The Wind Blows" guadagna in profondità grazie ai fiati di una "vera" gypsy brass band, la romena Fanfara Ciocârlia (premiata come "Miglior gruppo europeo" ai World Music Award di Bbc Radio 3 e presente nella raccolta "Gypsy Beats And Balkan Bangers" a cura di Felix Burton dei Basement Jaxx). E proprio per suggellare l'idillio gitano, Barnes ha registrato l'album in un piccolo villaggio della Romania, Zece Prajini, ricreando un'atmosfera incantata che pare presa in prestito dalle "Danze Slave" di Dvorak.
Le undici tracce si snodano in un ideale continuum, quasi fossero altrettante tappe di una processione tzigana o di una marcia funebre. Un cerimoniale che attacca piano, con l'incedere da bolero balcanico della splendida "In The River": praticamente i Black Heart Procession che suonano a un funerale slavo. E il seguito non è meno suggestivo, grazie al tango struggente della title track , con i suoi arabeschi mediorientali di violino. Il canto è relegato sullo sfondo, ma quando si ritaglia il suo spazio ("Song For Joseph", la stessa "In The River") riesce a infondere un senso di pathos arcaico.
Il cuore pulsante del disco è tuttavia il ritmo, quello di danze a trombe spiegate come "Fernando’s Giampari" e "GaDje Sirba", dove la spigolosità dei violini klezmer insinua una nota dissonante nell'esuberanza dei cocek di Bregovic. Nell'atlante di Barnes c'è una croce anche sulla Turchia, porta d'Oriente con la sua antica eredità musicale, filtrata dalle bande dei giannizzeri e dell'esercito ottomano ("God Bless The Ottoman Empire"), mentre è tutta ebraica la danza alticcia di "The Sparrow", con il violino a reggere il gioco nella sarabanda di fisarmonica e percussioni. Il momento più romantico è invece scandito a passo di valzer da quella "Waltz For Strings And Tuba" che insegue un bel respiro melodico alla Nino Rota.
I brevi interludi della mesta "Oporto" (sorta di pièce per violino in lo-fi) e della cameristica "Salt Water" (per piano e percussioni) non aggiungono granché di significativo, mentre l'epilogo di "There Is A River In Galisteo" si limita a riprendere in chiave sommessa il motivo dominante della traccia iniziale.
Pur senza aggiungere straordinarie novità a un patchwork sonoro ormai collaudato, "The Way The Wind Blows" conferma tutte le suggestioni e la verve immaginifica di A Hawk And A Hacksaw, un ensemble "aperto" che trova forse la sua dimensione ideale nei concerti, dove Barnes spesso si trasforma in una specie di one-man-band, riuscendo a suonare fino a cinque strumenti contemporaneamente.
Per il momento, però, non resta che segnalare un nuovo, rilevante tassello, da aggiungere al composito mosaico ethno-world dell'ultimo decennio.
28/09/2006