Ma sono gli ultimi Jane's Addiction o è la nuova versione dei Red Hot Chili Peppers quella che si sente in "Dani California"? Il nuovo singolo della band californiana è un mastodontico e plasticoso hard-rock, nello stile dei già citati Jane's Addiction, dei Velvet Revolver e sicuramente dei prossimi Guns 'n’ Roses (e se questo non bastasse, aggiungiamo che il ripescaggio della melodia di “Mary Jane’s Last Dance” di Tom Petty è da denuncia immediata). Struttura poderosa, chitarroni, e un ritornello bello melodico: tre concetti dei più banali. Poco importa quindi se con “Dani California” si chiude quel cerchio concettuale iniziato con "Californication" e proseguito poi con "By The Way", di cui il nuovo brano è un’ideale prosecuzione.
Fortunatamente i pruriti giovanilistici si esauriscono con il nuovo singolo, per lasciare infine spazio alle nuove dinamiche di un gruppo che ha cercato, in parte riuscendoci, di reinventarsi trovando quella chimica di squadra che si era persa un po’ per strada. Consci della ri-scoperta, i Red Hot Chili Peppers non si sono certo risparmiati, buttando sul mercato tutto quello che sono riusciti a registrare. Il risultato è il primo doppio album della storia del gruppo - a dire il vero anche “BloodSugarSexMagik” nacque come double album , ma lì il niet della casa discografica ebbe la meglio.
Le due ore di musica presenti in “Stadium Arcadium” sono tante, troppe. La mano di John Frusciante è qui evidente, al punto che, non a torto, si potrebbe considerare il disco un figlio diretto di quel “Shadows Collide Wih People” uscito ormai 4 anni fa. Non solo Frusciante, comunque. Flea e Chad Smith non erano mai stai così protagonisti dai tempi di “Californication”, e quando i rumour pre-release parlavano di brani hard-rock, noi, eterni dubbiosi, non c’avevamo creduto. Sbagliavamo, ma ora è facile dirlo.
Il primo disco (intitolato “Jupiter”), aperto con “Dani California”, offre alcune delle composizioni migliori del gruppo da anni a questa parte. Accanto alle scialbe “Snow Hey Oh” e “Charlie”, si fa notare “Stadium Arcadium”, ballatona acustica in linea di tradizione con “My Friends” e “Otherside”. Stesso discorso per “Strip My Mind”, ma qui siamo dalle parti della più recente “Don’t Forget Me”, e “Slow Cheatin’”, gioiellino pop con melodia indimenticabile, ritornello easy , atmosfere rilassate e felici. O siamo noi a essere innamorati, o le melodie dei Chili Peppers hanno dismesso i panni zuccherosi e smielati, e hanno acquisito più mordente e incisività.
A seguire troviamo il divertito funk-pop “Hump de Rump” e quella “She’s Only 18”che rispolvera la tradizione hard-rock-blues americana (Jimi Hendrix su tutti), addolcita con la solita stucchevole dose di pop (qui davvero troppo zuccherosa, considerato anche il contesto), declinazione preferita di Anthony Kiedis. Una menzione particolare la meritano anche “Warlocks”, apertura funk con un Kiedis indeciso tra rap e pop, e “Wet Sand”, marchiata col sangue di Frusciante, tanto ne è geneticamente figlia.
I colpi migliori sono stati sparati subito e nel caricatore dei californiani rimane ben poco, e quel poco sono pallottole spuntate. Indolori e ordinarie si susseguono rapide le 14 tracce del secondo cd (intitolato “Mars”), lasciando un retrogusto sciapo. E dire che quella "Desecration Smile" messa lì ad aprire le danze non prometteva male: una marcetta country arricchita dei fiori e dei colori della California, un ritmo incalzante e una melodia semplice. Nella mezz'ora successiva, invece, succede ben poco: gli scossoni arrivano quando si risentono in versione definitiva i brani "Ready Made" e “21st Century" che erano stati presentati dal vivo l'anno scorso. Le prime impressioni che si erano avute erano purtroppo quelle giuste: "Ready Made" è un polpettone hard-rock, rifforama eighties con ritornello Fm (non sfuggirà ai più attenti addirittura uno pseudoplagio dei defunti Creed). "21st Century" è un divertissment di Frusciante, che infarcisce di effetti e accordi una melodia pop su cui Anthony Kiedis ninnaneggia. Poi succede che arriva "Storm In A Teacup", e all'improvviso ci si immerge in quel mondo drogato e abbandonato che fu "One Hot Minute": stessi suoni, stesse atmosfere e stesse situazioni. Che Frusciante si rimetterà a suonare dal vivo canzoni di "One Hot Minute"? Ne dubitiamo. Davvero poco altro da raccontare di questo secondo tempo di “Stadium Arcadium”, che scorre sonnacchioso fino alla conclusione, senza destare ulteriori risvegli.
In conclusione, “Stadium Arcadium” rappresenta, nel complesso, il tentativo di riscossa di una band spacciata e data per morta anche da noi. Il gioco riesce a metà, ma va riconosciuto a questi ultra quarantenni di essere arrivati al nono album da studio con ancora la voglia di raccontare qualcosa (non importa cosa) a qualcuno (non importa chi).
06/06/2006
Cd 1
Cd 2