Se ne è parlato per qualche tempo, poi finalmente è uscito. E noi, con un certo ritardo, lo recensiamo. E’ “A Lazarus Taxon”, il cofanetto dei Tortoise che consta di tre cd e un dvd e che contiene rarità, tracce extra-album, remix, videoclip, filmati live e quant’altro. E’ un’opera che conta.
Più che un completamento della storia del gruppo principe del post-rock di Chicago, questo cofanetto offre infatti una vera e propria storia alternativa. Attenzione, però: non un “Cosa sarebbe successo se…”, ma piuttosto un “Sarebbe successo anche senza…”. Richiamati dalla loro diaspora su singoli, raccolte ed edizioni limitate, e senza bisogno di una “Ry Cooder”, di una “Djed” o una “Tnt”, questi pezzi dalla diffusione finora carbonara raccontano quanto, come e cosa i Tortoise abbiano dato alla definizione del genere post-rock, alla nascita e allo sviluppo di un suono come di un’attitudine alla musica, nonché all’evoluzione della musica cosiddetta popolare negli anni 90.
E quindi qua si apre con “Gamera” (un brano non a caso spesso riproposto anche dal vivo), che racconta molto sui percorsi del gruppo di Chicago. La riflessiva introduzione di arpeggi, l’entrata in scena delle due batterie che dominano un pace energico ma raffinato: tutto sfocia in una conclusione praticamente kraut, diciamo Faust era “IV” o primi Neu!. Mesmerico e straordinariamente dinamico allo stesso tempo.
Sono loro, inconfondibili, sono i Tortoise, sono il suono di quella Chicago. A comporlo sono il mondo indie, gli ascolti e la pratica jazz, un po’ di quella brillante verve intellettuale in jeans e t-shirt che caratterizzava gli States dei primi anni 90, la riflessione sulla materia rock, alcune convergenze con la nascente elettronica “di consumo”, il ripescaggio del kraut e la rivalutazione delle forme e dell’elaborazione del prog, al quale i Tortoise guardano con un duplice sentimento di ammirazione e distaccata ironia (quando basta un titolo: “Elmerson, Lincoln, And Palmieri”).
Così, pescando quasi a caso, si assiste a un Duke Ellington trasformato in una spy-story diretta dagli Stereolab a cui hanno rapito Laetitia Sadier (“Didjeridoo”), o al ballet mécanique di “Whitewater”, che è un pezzo suonato ma ha un battito fra downtempo elettronici e trip-hop. Ma anche alla maratona d’improvvisazione e composizione di “Cliff Dweller Society”, collage di più parti registrato in un solo pomeriggio. Oppure a “As You Said”, omaggio ai Joy Division (!), che di Ian Curtis e soci mette insieme giri di basso e melodie finendo per essere un pezzo che poco ha a che vedere con gli omaggiati e molto con gli omaggianti.
E poi abbiamo quella mimesi ostentata (il post-rock non vive di ossimori?) nelle cover, nei remix attivi e passivi. In quelli di Takemura e Autechre (sublimi gli inglesi nella tesissima “To Day Retreival”) si sente quanto naturali e immediati siano sempre stati gli approcci elettronici alla loro musica. In fondo è la loro musica a essere tutt’altro che estranea a ogni tipo di cosmesi proprio perché già (geniale) cosmesi in origine. E a confermarlo c’è il terzo cd che, di fatto, è la ristampa del raro “Rhythms, Resolutions, And Clusters”, il disco di remix dell’album d’esordio.
Insomma, qui c’è tutto un suono, quello del post-rock e dei Tortoise in particolare, che spesso viene considerato freddo, una considerazione basata sulla constatazione che nella loro musica mancano i sentimenti più comunemente considerati “caldi”: amore, passione, un sentire viscerale. Eppure in ogni passaggio troviamo entusiasmo, creatività, curiosità, numerosi lampi di genio. C’è vitalità. C’è vita. Difficile definire “freddo” tutto questo.
Passando al Dvd, cominciamo dall'osservazione più ovvia, quella che salta all’occhio anche solo leggendo la tracklist: il piatto forte sono i molti brani registrati durante un live a Toronto del 1996, ai tempi in cui in formazione trovavamo l’ex Slint David Pajo. Immagini e audio sono di qualità artigianale, ma la sostanza è impressionante. Qui troviamo la musica dei Tortoise al suo massimo. Gli scambi di strumenti, quel basso, le frasi melodiche di xilofono, la concentrazione e il divertimento. E c’è uno spirito jazz che sfocia nelle due performance tratte dal Deutches Jazz Festival di Francoforte (1999), in cui al gruppo si uniscono anche il Chicago Underground Trio e Fred Anderson. Vi raccomandiamo soprattutto “Ten Day Interval”: se era già fascinosa in origine, con l’intervento della tromba vengono i brividi lungo la schiena.
I video, invece, documentano i tentativi, alcuni riusciti altri meno, di accostare al peculiare post-rock dei Tortoise una sorta di post-videoclip. Particolarmente efficace l’accompagnamento visivo di “Seneca”, forse il miglior brano di “Standards”. E’ una clip di montaggio, costruita interamente con vecchi filmati di uffici e macchinari Nasa che mostrano rudimentali animazioni, satelliti e schede perforate, le madri (le nonne) dei nostri computer. E’ il futuro del passato e il passato del futuro. Un cortocircuito temporale, una collisione tra novità e luoghi mentali familiari. Cioè quello che i Tortoise furono alle loro prime apparizioni in modo dirompente. E che la loro produzione meno recente è tuttora, alla prova dell’ascolto.
La recensione avrebbe dovuto concludersi al paragrafo precedente per non finire con un anticlimax, ma non ce la sentiamo di lasciarvi senza quest’ultima indicazione. Dato che una recensione è anche consigli per gli acquisti, vi segnaliamo che su certi siti vi fanno arrivare il cofanetto a casa per una quindicina di euro o poco più. Con quel prezzo non avete scuse.
01/03/2007
Disc 1:
Disc 2:
Disc 3 (Rhythms, Resolutions, And Clusters):
DVD: