"Entrare" nel disco degli Amor Fou è un'opera relativamente facile, avendo fatto i conti con il cantautorato di matrice storica del nostro paese (Tenco, Battisti) e con quello un po' più attuale (Benvegnù, LaCrus).
La vera essenza di "La stagione del cannibale", esordio del gruppo nato dalle sinergie tra Alessandro Raina, Cesare Malfatti (La Crus, The Dining Rooms), Rescigno (Soul Mio) e Saporiti (Lagash), risiede in un susseguirsi di cose sospese, non dette. Per assurdo, nel momento in cui ci si accinge a raccontare la storia di un amore finito e mai riallacciato.
Una storia rivista e raccontata, ed è questa la traccia guida del lavoro, l'approccio che si scalda dentro passo dopo passo, traccia dopo traccia, in un saliscendi di sensazioni, di stati d'animo, segnato da linee di elettronica che richiamano in parte i Notwist, in parte i Lali Puna. Una matrice electro nostalgica, d'atmosfera, unita a quella impostazione cantautorale "storica" a cui si accennava prima.
Del resto, gli anni in cui il disco nasce per raccontarsi sono i 70, muovendo i primi passi incerti e poi calpestando sempre più forte, fino a raggiungere il collegamento tra quello che si sta raccontando e il linguaggio per viverlo, un real time invidiabile per essere al primo lavoro, un contraltare alla visione jukebox-istica dei tempi.
"La stagione del cannibale" scongiura quei ricordi di festa e fa partire tutto dalle stagioni dello stragismo: il cannibale è una società che ha mangiato sé stessa e una gioventù che si è alimentata di speranze altrui; sono anni di morte, di separazione, anni che hanno illuso e fregato una generazione intera, quella che oggi è di fronte ai propri fallimenti di chi ha fatto, ma fino a un certo punto, e si chiede se a questo punto forse era meglio non fare niente. Un anello che non si chiude, una sospensione che non chiude mai lo stomaco e che alla resa dei conti ci si trova, ora, allo specchio.
Questo è Amor Fou, questa è "La stagione del cannibale": una catena di parole, una proiezione, un lungometraggio sospeso tra perle come "I ritorni", "Cos'è la libertà" (il vero capolavoro dell'intero album, concettualmente e stilisticamente puro Tenco), "Ore 10: parla un misogino", che strizza l'occhio ai Notwist di "Neon Golden", "Due cuori una dark room", su cui si respirano le atmosfere che hanno fatto la fortuna di "23" dei Blonde Redhead.
Non finisce qui, perché nell'osare il gruppo inanella al contempo veri e propri singoli, vedi quel "Periodo ipotetico" che deve tanto ai Lali Puna quanto ai Bloc Party dell'ultimo "A Weekend In The City", a dimostrazione che il pop non ha bisogno di essere zeppo di bassi e velocità o strilli per far battere il piede, o "Se un ragazzino appicca il fuoco" principalmente debititrice del Battisti prima maniera (non quello stravolto dalla cura Panella, per intenderci).
Di certo, ci troviamo di fronte a un disco ambizioso, ma visti i personaggi in questione ci sentiamo di dire che un po' ce l'aspettavamo. Certe cose bisogna sentirle dentro, e gli Amor Fou hanno davvero il codice genetico per portare le lancette indietro di quasi quarant'anni e distruggerci il cuore, facendo tornare il cantautorato italiano un tema da prima pagina.
16/10/2007