Tensioni positive. Mentre stiamo scrivendo, i visini scanzonati del giovane quartetto britannico fanno bella mostra di sé sulla copertina del New Musical Express. Scoperti dai Franz Ferdinand, che dopo averne ascoltato un demo si sono adoperati per farli salire su un palco, in pochi mesi e con un solo Ep all'attivo, gli adrenalinici ventenni si candidano per essere l'hot band del 2005, ben accomodati sotto gli stessi riflettori che illuminarono i Rapture 2003 e ancor più clamorosamente i Franz Ferdinand, appunto, nell'anno che si è appena chiuso.
Prima che qualcuno possa avvertire sgradevoli afrori da band costruita in laboratorio, diremo subito che, anche se fosse, chi l'ha pensata rischia di aver fatto centro: intanto perchè i Bloc Party sono pura energia on stage, grazie a una sezione ritmica di quelle che si ricordano (e chi li ha visti dal vivo nel recente mini-tour italiano potrà confermare), e poi perché annoverano un pugno di canzoni credibili e catchy quanto basta per rapire il cuore sia degli alternativi indefessi, sia del pubblico meno ricercato. Un paio d' irresistibili ingredienti, insomma, che vanno ad aggiungersi alla voce di Kele Okereke, ruffianissimo impasto fra gli immancabili Morrissey/Smith, qui felicemente spruzzato da spiccate attitudini à-la Buzzcocks in un cocktail che finisce col regalarci, nonostante tutto, una certa dose di personalità.
The (cool & dangerous?) past is now
Ancora anni Ottanta. Eh sì, perché "Silent Alarm" rappresenta l'ennesimo caso degli ultimi mesi in cui si rimane ben piantati (o impantanati, a seconda dei punti di vista) nelle trame chitarristiche del The Edge prima maniera, nelle batterie che evitano accuratamente il virtuosismo puntando verso stringate battute in punk style, nella costante ricerca della melodia vincente, del ritornello definitivo, insomma. Rischieremmo oltremodo di divagare ampliando a dismisura la questione se ci ponessimo la domanda fatidica: ha ancora senso tutto ciò nel duemilacinque? Ha senso nella misura in cui le canzoni funzionano, fanno ballare i ragazzi nei club e nel contempo strappano sorrisi ebbri di nostalgia ai quarantenni, ha senso nel momento in cui si evitano domande di questo tipo, eludendo le quali si finisce col cogliere inconsapevolmente il significato più intimo di pop music.
Detto così il gioco potrebbe persino risultare facile, se non fosse che il pubblico a cui si rivolgono i simpatici giovanotti è quello onnivoro e compulso del peer to peer (quella nicchia che ormai così nicchia non è più), quello che a vent'anni ha già ascoltato intere enciclopedie del rock e di alternative: capirete bene che, in questo caso, finire irrimediabilmente tritati sarebbe questione di secondi. Non crediamo che sia il caso dei Bloc Party, almeno per i prossimi dodici mesi (per il dopo, si vedrà).
So here they are
Schitarrate da allarme antiaereo, drumming/ruggiti per fauci leonine, "It's so cold in this house/open mouth swallowing us", chi ha trascorso rabbiosi vespri in penombra spiando i turbamenti dei Sound di Adrian Borland ne raccoglierà i cocci nell'iniziale "Like Eating Glass", che non fa molto per dissimulare i suoi livori eighties, tinte di un turbamento più percepito che vissuto: forse la differenza col tempo che fu risiede tutta qui, e più di una volta ci assale il dubbio che ciò non sia propriamente un dettaglio.
Non avete ancora ballato le note di "Banquet"? Circola ormai da mesi in accattivanti versioni remix per natiche dondolanti (già presente nell'Ep uscito lo scorso anno, come la tormentata e darkosa "She's Hearing Voices") quindi, se così non fosse, invitate il vostro dj di fiducia ad aggionare il suo set; è infatti questo il brano destinato a propagare il sound del gruppo possibilmente in ogni angolo del pianeta, ideale punto d'equilibrio fra rock e dance, almeno inteso alla maniera dei Rapture.
Semi di punk-funk importunano il suono oscuro di "Price Of Gas", una calda nostalgia permea la malinconica "So Here We Are", per quanto poi tonalità eccessive di power-pop, che cita involontariamente gli Idlewild, finiscono col rendere un po' stucchevoli canzoncine in fin dei conti mica male ("Plans", e pure la trascinata "Pioneers") abbassando un poco la qualità del risultato finale.
Come si vede, non tutto il disco luccica: a fianco di neon sfavillanti (aggiungiamo a quelle già menzionate l'energica "Helicopter"), ritroviamo tracce non brutte, ma che si reggono più sulla giovanile audacia degli astanti che non sulla bontà del risultato finale (e qui sommiamo "Luno"). "Silent Alarm" non è certo il capolavoro che qualcuno tenterà di spacciarvi, ma con un po' d'indulgenza un 7 finisce col meritarselo.
13/02/2005