Da quando si autoproducono, i Church sfornano album in continuazione. Fra dischi ufficiali, session varie e rivisitazioni semi-acustiche, non si contano più i lavori della band australiana.
Dopo l’ultimo, riuscito, "Uninvited Like The Clouds" e sulla scia di "El Momento Descuidado", è la volta di "El Momento Siguiente".
Viene voglia di chiedersi cosa possa ancora dare un gruppo ormai di nicchia, fuori tempo, fuori dalle mode, fuori un po’ da tutti gli schemi e che rappresenta davvero un capitolo a parte della storia della musica…
La risposta si potrebbe trovare proprio in quest’ultima fatica discografica, specchio di quello che i Church sono oggi: una band onesta, ma smaliziata e con una classe cristallina assolutamente sopra la media.
Mettere mano a hit intoccabili come "Reptile" o "North, South, East & West" del glorioso "Starfish", smembrarne pezzo per pezzo l’impalcatura per cercarne l’anima è operazione assai difficile e spesso con risultati difficilmente prevedibili.
E se inizialmente l’impatto con queste nuove versioni in chiave acustica (che prescinde dalle acrobazie chitarristiche del duo Koppes/Willson-Piper, anche se da tempo il gruppo ha ormai intrapreso una svolta più "ambient") può essere traumatico, pian piano le si metabolizzano e poi le si amano.
In "Reptile" il celeberrimo riff di chitarra è sostituito da un piano boogie-woogie suonato da Peter Koppes ed è possibile gustarsi il canto di Kilbey come del buon vino all’interno di un calice prezioso, con tanto di inediti e rari falsetti finali.
C’è molto mestiere nel loro sound e accanto all’epicità di sempre si respira un’atmosfera morbida e levigata.
Brani come "It’s No Reason" o "Electric Lash" risplendono qui di nuova luce soprattutto grazie a una interpretazione più intima e matura, decurtati di alcuni inutili orpelli.
E se in "After Everything" o "Two Places At Once" con gli archi in evidenza, cambia poco rispetto alle versioni originali, il continuo evolversi di questo gruppo è tutto in "Pure Chance", brano pubblicato solo pochi mesi fa e già riarrangiato.
E’ la vera perla del disco, in cui Steve Kilbey duetta con Inga Liljestrom e qui c’è tutta l’essenza dei Church col suo incidere decadente e malinconico risvegliato qua e là da magistrali modulazioni.
E se su "Grind" la grazia della canzone garantisce già a priori un risultato comunque sopra le righe, un altro colpo di genio è l’arrangiamento in stile flamenco di "Appalatia" che riemerge dal pasticciato "Forget Yourself" come una canzone di ampio respiro e dai contorni molto meglio delineati.
Qualche esagerazione in "Tantalized", che con sitar e atmosfera orientaleggiante, sembra davvero irriconoscibile e perde certamente di incisività rispetto alla versione originale.
I brani nuovi sono tre, la deliziosa "Song In The Afternoon", la strumentale "Comeuppance" a mo’ di titoli di coda e l’allucinata "Bordello"…
E già, perché per non farsi mancare proprio nulla, i Church spesso amano inserire un pezzo di rottura che nel caso specifico è proprio quest’ultimo, dove ritmo e testo allucinato evidenziano anche un Kilbey inedito, scanzonato e delirante…
E’ presente anche una cover dei Triffids, "Wide Open Road" che apre l’album e funge da apripista per le varie gemme in esso contenuto…
In conclusione, un lavoro ben confezionato (tranne la ormai ripetitiva copertina disegnata da Kilbey, preferibile come autore e cantante, sinceramente): i Church magari non sconvolgeranno più la musica dei nostri tempi, ma delizieranno ancora chi rifugge da mode e tendenze varie e cerca semplicemente della buona musica…
(04/03/2007)