Duran Duran

Red Carpet Massacre

2007 (Epic)
pop

Un giorno ti guardi allo specchio e capisci che il tuo tempo è passato. Provi a giustificarti, ma non è storia. Semplicemente bisogna prenderne atto e decidere. Se indossare le pantofole o ancora una volta i calzoni alla moda. Opti per questa seconda opzione, ma ce la metti tutta perché l’operazione di vernissage non venga scambiata per patetico aggrapparsi a un'attualità che non ti appartiene. Dopo tutto, gli amici te lo ricordano sempre: il più è fatto da tempo, si può anche vivere di rendita, mica è vietato.
Cicli e ricicli la stessa pappa, provi ad accontentare quante più persone e vedrai che qualche risultato lo si porta sempre a casa. Un passo di danza qua, un abbraccio romantico là, in più qualche strizzatina d'occhio maliziosa e seducente. Magari ci scappa pure un party, di quelli super-fotografati. Giusto per dire: ehi, c'ero anche io. Ci sono sempre. E invece no. Al party ci vuoi andare, e ci mancherebbe, ma vuoi entrare passeggiando su tappeto rosso. Acclamato, rispettato e in pace con te stesso. Soprattutto se sei da una vita una popstar.

I Duran Duran sono un paio di decenni che queste parole se le raccontano e se le ripassano, per non asservire mente e istinti all'arteriosclerosi che si nasconde dietro angoli apparentemente gratificanti. Così, giusto un paio di anni fa, pare quasi di vederli, tutti stretti attorno al tavolo della cucina di Simon Le Bon mentre aprono la scatola del Risiko e studiano le coordinate del nuovo come back. Magari più orientato alla chitarra? E giù insulti, a letto senza cena. Facciamo allora una replica dei vecchi Duran, visto che in giro ci sono un sacco di cloni che raccolgono dollari e applausi a non finire. Si ritrovano il giorno dopo a colazione e prendono a scrivere il materiale.
Sembrano entusiasti. Ma giurerei di aver visto un smorfia sul viso di John. Mal di stomaco? Nick se ne accorge e prova a consolarlo con promesse sottovoce. Andy Taylor origlia e la prende male. Il piccolo di Newcastle ci vede dietro la congiura. Ne ha la certezza quasi matematica quando in studio si presentano Timbaland, Timberlake e forse anche Christina Aguilera. Crede anche di scorgere qualcuno che gli manomette gi amplificatori. Sapete che c'è? Me ne vado. Novello Steve Hackett (acquistato nel 1980 leggendo un annuncio sul Melody Maker, finito fuori dai giochi nel 1986 con tanto di porta sbattuta), il Taylor più basso ha subdorato un cambio di rotta non incline al suo temperamento.
Che si fa? Si opta per un pellegrinaggio direzione Ibiza, dove risiede il nanerottolo e lo si prega in ginocchio di ritornare? Ma non scherziamo. Piuttosto si prova ridisegnare un storia, così, su due piedi, con il rischio che non ci sia lo spazio materiale per aprire il classico paracadute...

And then there were four. Decisi, combattivi e, diciamocelo, liberi dalla zavorra rockettara di Andy. John, Nick e Roger, dal 1979 con quel chiodo fisso: punk e Chic, art e disco-funk, Studio 54 e bionde da sballo. Una filosofia di vita che deve necessariamente essere lucidata da qualche guru odierno. Eccolo, allora, il sogno proibito Timbaland, innovatore dance hip-hop non refrattario al ritornello pop. Un po' il Nile Rodgers dei nostri tempi. Ma siccome l'esperienza con la mente disco-funky dei 70-80 era finita a suo tempo in un mezzo fallimento ("Notorious" o della perdita d'identità, nonché delle classifiche), facciamo che questa volta le carte le danno i quattro superstiti, mentre il Timbo controlla giudiziosamente che si giochi corretto. E affinché il lavoro non deragli sotto la spinta del sempiterno ego, ecco l'occhio di falco Danja Hills. Mentre l'astuto Justin continua a sorridere dalle retrovie.

I sapori hip-hop scelti come scusa per tornare nell'ambito club, l'high energy ristrutturato, consci che le radici del moderno r'n'b debbano non poco all'electro-synth di moroderiana memoria. Un po' come chiudere un cerchio. Timberlake-Timbaland come raffigurazione del 21esimo secolo di Jackson-Jones. Ma se "Future Sex" appare come un progetto, quand'anche prezioso, plastico, essenzialmente legato alla contemporaneità, privo di radici, l'inedita commistione duraniana unisce idealmente e praticamente le due ere. Un crossover pop che si abbevera alla sorgente bianca, il ritmo spogliato del soul, rivestito per l'occasione, luccicante ma mai esagerato. Piuttosto scarno, a volte fino all'osso, con la voce lasciata in primo piano, agile, nuda, con l'unica coperta rappresentata da uno sfondo che fa il filo a essenziali sapori techno, ma senza rinunciare al classico abbecedario pop.

"Red Carpet Massacre", che fustiga ironicamente la futile vita della starlette media, si muove su coordinate produttive che spingono verso un mix magmatico ma lucido, una colata di lava fredda dove il basso sembra una linea synth, la batteria è filtrata e passa vorticosamente da un suono che ricorda il rumore di scatole di latta alla percussione ovattata, atmosferica. Dominano le tastiere rhodesiane e rendono i ritmi incalzanti anche quando il singolo brano non spingerebbe per forza di cose al dancefloor. Non si rinuncia alla ballata popolare che serve quasi a far decantare l'entusiasmo e a proporne uno nuovo, riempiendo l'ambiente di effetti, eleganti, suggestivi, notturni.
Si era vociferato di una svolta piaciona (quando mai i Duran hanno provato a inimicarsi le masse?), ma paradossalmente la nuova release mostra i quattro procedere senza freni, disarmati dell'antico cerchiobottismo, quell'equilibrio pregiato ma spesso deriso che rende commestibile il pop. Stavolta si rischia, sempre con la calcolatrice in mano, provando a far quadrare i conti con un singolo buonista, simpatico riempitivo (la tenue e prevedibile "Falling Down"). E' l'unica concessione.

I Duran non sono ventenni assetati alla Timberlake e neanche matusa adorati come i Rolling-U2. Se ne sono accorti da un bel pezzo. Sono i baluardi, forse i definitivi, della musica artificiale fatta artigianalmente. E allora nelle sabbie mobili ci si gettano senza ritegno. O la va o la spacca. Dodici pezzi dodici, mascherati ma duraniani fino al midollo, new romantic europeista sfregiato con dolcezza ed equilibrio dai rumori della nuova metropoli. E' come se John e Nick fossero tornati nella loro cameretta addobbata di poster: ci sono i Buggles più cartoon che mai ("Tricked Out", "Zoom In"), gli Ultravox (l'incipit della conclusiva "Last Man Standing", con il moog che fa romanticamente capolino), il Bowie electro-white-soul ("Dirty Great Monster" con sax malato e perforante), l'euro-disco aggiornata ("Skin Divers", "Tempted", il break sonnambulo che arricchisce "Nite-Runner"), ci sono i retaggi semi-acustici di "Rio" ("Box Full O' Honey", "She's Too Much") e la foga di "Careless Memories" ("Red Carpet Massacre"), c'è la vecchia scuola art-pop dance che si fa epica e cavalcante (l'opening "The Valley" con solo di basso slap stordente).

Ci sono i Duran, insomma, con tutto il loro bagaglio di ricordi, ma senza nostalgia. A bordo di un suono finalmente coeso, tendente allo scuro, che colora un songwriting lineare. Senza darsi per vinti neanche di fronte alla rimostranze degli aficionados, fedele legione, sempre più risicata, fisiologicamente invecchiata e quindi conservatrice. Ebbene sì, oggi è possibile incontrare al bar il 40enne affezionato duraniano intento a ragionare come i detrattori di un tempo, alla ricerca della performance strumentale "vera", di una misteriosa idea di interpretazione adulta, di un qualcosa che finalmente rassicuri sulle scelte fatte e troppe volte spernacchiate, che provochi l'agognata accettazione dei propri eroi tra i classici di ogni tempo.
E invece no: i Duran erano, sono e saranno sempre un progetto scomodo, vecchio di 25 anni, ma sempre alla ricerca dell'eterna giovinezza, nello sprezzante rifiuto di apparire caricaturale. Un modo elegante per evitare l’applauso serioso ma geriatrico. Per non precipitare nel mare magnum del revival. Per sentirsi vivi e, segretamente, invidiati.

27/11/2007

Tracklist

  1. The Valley
  2. Red Carper Massacre
  3. Nite-Runner
  4. Falling Down
  5. Box Full O' Honey
  6. Skin Divers
  7. Tempted
  8. Tricked Out
  9. Zoom in
  10. She's Too Much
  11. Dirty Great Monster
  12. Last Man Standing