Gli Efterklang sono un ampio collettivo danese, già impostosi all’attenzione di pubblico e critica nel 2004, con l’album di debutto “Tripper”, ideale punto d’incontro tra orchestralità post-rock, screziature elettroniche e immaginari nordici (semplificando, una via di mezzo tra Sigur Rós e Books). I tre anni che separano l’esordio da questo “Parades” hanno visto la band capitanata da Casper Clausen affacciarsi nuovamente sulle scene soltanto con il corposo Ep “Under Giant Trees”, uscito all’inizio di quest’anno, ma comprendente materiale risalente al 2005. La lunga assenza dalle produzioni discografiche non è stata però determinata da inerzia creativa quanto invece dalla parallela realizzazione di due progetti ambiziosi: da una parte la costituzione di un’etichetta discografica, la Rumraket, intorno alla quale si è rapidamente coagulata una poliedrica scena musicale e, dall’altra, la lavorazione di un album in grado di sviluppare le componenti orchestrali già presenti in “Tripper”.
La complessità di un collettivo di dieci persone, unita all’intrigante obiettivo artistico prefissatosi dalla band, ha richiesto ben diciotto mesi di registrazioni e il contributo di una trentina di musicisti – tra cui un quartetto d'archi, un quintetto di fiati e tre diversi cori – perché vedesse finalmente la luce “Parades”. Il filo conduttore del nuovo album non è più l’elettronica, adesso relegata a un ruolo di contorno, quanto invece la maestosità orchestrale e anthemica, la cui ricchezza di elementi riesce tuttavia ad evitare eccessi di ridondanza, grazie alla molteplicità di sfumature presenti in undici tracce che, in coerenza con la vivace policromia della copertina, spaziano ampiamente tra coralità e romanticismo, tra folk sghembo e reminiscenze post-rock ancora affioranti.
Ma sono soprattutto gli archi, i fiati e gli onnipresenti cori ad essere funzionali alla ricerca di una solennità lirica, dagli spiccati accenti notturni ed evocativi, particolarmente evidente nella parte iniziale dell’album, che presenta due perfette pièce da epica colonna sonora (“Polygyne” e “Horesback Tenors”), le ariose suggestioni nordiche di “Him Poe Poe” e le residue screziature elettroacustiche di “Mirador”.
Dopo la sovrabbondanza di elementi delle prime tracce, il breve frammento pianistico “Mimeo” giunge a spezzare il ritmo, facendo voltare pagina all’andamento dell’album, che nella sua seconda parte si presenta vario e lievemente più compassato, sfiorando in diversi punti il giocoso romanticismo folk dei migliori Múm (“Blowing Lungs Like Bubbles”, “Cutting Ice To Snow”).
Anche qui non mancano brani dall’impatto più immediato, come la travolgente “Caravan”, con il suo andamento quasi da musical; tuttavia, le composizioni risultano nel complesso più equilibrate e coese, soprattutto grazie al contributo degli archi, che riescono a ricondurre a unità armonica persino i fantasmi post-rock del ruvido incipit di “Maison De Réflexion” e conferiscono grazia soffusa a “Frida Found A Friend”, brano che, al pari della già citata “Caravan”, esemplifica perfettamente l’attuale stato d’ispirazione degli Efterklang, tra timidi accenni glitch, melodie elettroacustiche e progressivi innesti strumentali, in un lieve crescendo di atmosfere delicatamente liquide.
Nonostante l’opulenza sonora di molti dei brani ne appesantisca talvolta eccessivamente la fruizione, può dirsi tuttavia riuscito lo sforzo degli Efterklang di concentrarsi sugli aspetti compositivi di una musica dall’impronta personale e ormai definita, nella perenne trasformazione di suoni di diversa provenienza e dispersi in mille rivoli, adesso incardinati su un substrato di epica grandiosità orchestrale.
14/10/2007