Oggi, a dieci anni di distanza, Touch&Go riedita quel disco pari pari, limitandosi ad aggiungere una nuova copertina, dandoci così l’occasione di ritornare su una delle formazioni fondamentali e ahimè dimenticate degli anni 90.
Formati da Brian McMahan, chitarra e voce degli Slint, e comprendenti membri di Tortoise e di altri gruppi del giro Louisville, i For Carnation furono a posteriori tra i più originali dell’epoca, capaci come pochi altri di dare un senso a quel modo di fare musica che di lì a poco sarebbe caduto sotto il nome di post-rock.
Si tratta di pezzi che vivono di pochissimo, stando in piedi su equilibri fragili ma compiuti nella loro perfezione, in cui si perdono del tutto i legami con la scuola hardcore (o post-hardcore che dir si voglia) che ancora si potevano rintracciare su un disco come “Spiderland”, dal cui suono il gruppo bene o male prese le mosse. Di quel lavoro i For Carnation sembravano soprattutto far tesoro di alcuni insegnamenti, su tutti la capacità di selezionare pochi momenti rilevanti – un riff, una linea di basso, un giro di accordi – e di creare a partire da essi piccole miniature sonore, in breve recuperando la forma-canzone laddove gli Slint tendevano ad allontanarsene.Ma si tratta di una forma-canzone i cui tratti tradizionali vengono trasfigurati dall’indole con cui il gruppo porta avanti il proprio discorso, come in “On The Swing”, dove l’assenza di ritornello o di elementi strutturali riconoscibili porta il pezzo a svanire prima ancora di prendere consistenza.Stesso discorso vale per gli episodi più ritmati del lotto, gli strumentali “I Wear The Gold” e “Preparing To Receive You” ad esempio, di chiara ascendenza June of '44, costruiti attorno a un riff che si ripete identico per tutta la loro durata e che li conclude riportandoli al punto di partenza.
Per tutto il resto del disco a farla da padrone sono i toni raccolti e intimi, declinati di volta in volta nella ninna nanna di “Imyr, Marshmallow”, nella lenta e scheletrica “Salo”, sospinta da un cantato anemico che pare non tradire l’ombra di un’emozione e soprattutto nella cupa “Winter Lair”, che si riallaccia tanto allo slo-core dei Codeine quanto alla sensibilità minimale dei Gastr Del Sol.Pezzi che riascoltati oggi conservano immutato tutto il loro fascino, testimonianza di un gruppo che lavorando costantemente per sottrazione, tanto da arrivare in più occasioni a lambire il limite del silenzio, seppe penetrare fino all’essenza di un suono.
Caratteristica quest’ultima che forse più di tutte rese unica la musica dei For Carnation, i quali in seguito licenzieranno un solo altro album, prima di essere frettolosamente inseriti nella da lì in poi sempre più affollata galassia post-rock. Termine il cui senso – se mai ne ha avuto uno – occorre riscoprire partendo anche da qui.
(22/12/2007)