Ecco, se voi dovete trovare un disco uno per descrivere a un vostro amico cosa sia l’Islanda, dove sia posizionata, che gente ci viva, che musica si suoni, ebbene non esitate a fargli ascoltare questo nuovo lavoro, neanche a dirlo uscito per la Resonant, di Stafrænn Hákon. L’islandese pubblica la sua sesta opera, la quarta per l’etichetta inglese. E tutta quella miriade di immagini sul mondo islandese, su quella musica trasognata, sulle coste frastagliate, sui geyser, sui soli di mezzanotte, sui gabbiani in volo, vengono qui al pettine, con ricami leggeri e vividi.
Bandite strutture razionali, tutto appare fluire con un incredibile leggerezza. Le note si rincorrono tracciando scie boreali, accompagnate talvolta da canti sommessi o ripide accelerazioni di chitarre.
Carillon gioiosi, aroma di legno e odore di terra: gli otto minuti abbondanti dell’iniziale “Járn” introducono alla vista di equilibri stabili e indissolubili. E se “Svefn”, diciamolo pure, vera caduta di stile, che si districa fra le melodie di un pop-rock sognante, sa tanto di scopiazzatura un po’ Sigur Rós, un po’ Radiohead, il flusso di chitarre, accompagnato da tastiere, di “Kvef” trasporta idealmente l’ascoltatore su orizzonti sconosciuti.
Il cantato, quando appare, pare togliere quella atmosfera di semplice e fragile armonia. E non appena sono le chitarre ad accennare note simil britpop, l’atemporalità, la mancanza di spazialità che quei suoni avevano saputo creare, vengono crudelmente cancellate, come un risveglio affannoso da quel sogno dal quale mai ci si sarebbe voluti risvegliare. Se gli elementi positivi, se tralasciamo quelle divagazioni british davvero trascurabili, si rincorrono, ecco che l’originalità compositiva pare non essere materia conosciuta per il buon Olafur Josephsson, che si nasconde sotto lo pseudonimo Stafrænn Hákon. I carillon fatati di "Þurr Þurr" non fanno altro che introdurre al vero gioiello del disco: “Veggur”. Costituita da una corrente ininterrotta di tastiera per 9 minuti, ti toglie il fiato. Sottili filamenti glitch e tanta malinconia.
Ecco allora che, giunti alla fine del disco, rimane l’amaro in bocca. Amaro perché qui c’è il tutto e il niente, amaro perché la sensazione è che il disco sia riuscito a metà. Sì, tenete buono questo "Gummi" come guida turistica. Se volete immergervi nel sound islandese, sapete le strade da percorrere.
(14/06/2007)