Il cerchio si chiude. Prima di pubblicare il suo secondo album con i Lonely Astronauts, Joseph Arthur porta a compimento il poker di Ep solisti avviato nella primavera di quest’anno, sul modello di quanto aveva fatto nel 2002 con i quattro volumi di “Junkyard Hearts”: una collezione di ben ventisei canzoni, probabilmente troppo disomogenee tra loro per essere riunite in un unico disco. Nel complesso, però, stavolta il bilancio finale non sembra sempre ugualmente ispirato, come conferma anche l’ultimo tassello del quadro, “Foreign Girls”: dopo il brillante avvio del primo Ep, “Could We Survive”, che rimane l’episodio più compiuto e convincente del lotto, Arthur alterna alcuni dei migliori brani realizzati negli ultimi anni a momenti di evidente scontatezza, in cui il songwriter americano sembra procedere con il pilota automatico.
“Foreign Girls”, inizialmente preannunciato come una raccolta di spoken word, si rivela in realtà il capitolo più solare della serie, con un pugno di canzoni piene di freschezza, anche se spesso dalla struttura poco più che abbozzata. Tra il riff affilato di “The Killer” ed il connubio di pianoforte, tastiere e drum machine di “New Satisfaction”, è il brano che dà il titolo all’Ep ad offrire la melodia più efficace, nonostante un testo non proprio memorabile. Già anticipata su MySpace nei mesi scorsi, “Foreign Girls”, come la successiva “Candy And Cars”, vede per la prima volta ai cori la fidanzata francese di Arthur, Cerise Leang, emblema delle ragazze straniere del titolo e immortalata a più riprese nel blog “Bag Is Hot” (da cui proviene anche la ciondolante “Lovely Cost”). Vita e arte, insomma, sembrano sempre più inscindibili per il songwriter americano. E forse è proprio questo il problema del Joseph Arthur degli ultimi tempi: quello di far ruotare tutto intorno al proprio ego, senza preoccuparsi troppo dei risultati.
23/07/2008