Ci sarebbe da chiedersi quanti inserirebbero nella propria storia del rock, alla voce anni 80, dischi come "George Best" dei Wedding Present, "Up For A Bit" dei Pastels, "Forever Breaths The Lonely World" dei Felt, una raccolta di singoli dei Biff Bang Pow! o "And Don't The Kids Just Love It" dei Television Personalities. Non molti, è chiaro. Eppure esiste ancor oggi una storia non raccontata del rock alternativo inglese, fatta di tanti piccoli manufatti sonori di cui nessuno conserva il ricordo, un mondo di abbaini e camerette frugalmente arredate con pessimo gusto, una microscopica galassia di lise carte da parati e maglioni infeltriti che sembravano non aver lasciato nessuna traccia davvero tangibile nella Storia, un'epopea di eroi minori, un piccolo esercito di metodici e al tempo stesso indolenti disertori, di sottilissimi esteti della miniatura musicale di cui nessuno oggi oserebbe sospettare l'esistenza. Ma ci stavamo sbagliando, nell'età della citazione coattiva e del revival permanente, qualcuno c'è, eccome. Che siano poi effettivamente dei signor Nessuno, poco importa. La cosa strana semmai è che l'Inghilterra di fine anni 80 venga riscoperta e pienamente valorizzata dall'altra parte dell'oceano.
Caso emblematico sono senz'altro i Crystal Stilts, band newyorkese, che esordisce in questi giorni con un bel disco di cui a pochi forse importerà davvero ma che già si profila all'orizzonte come virtuale capofila di una nuova avanguardia di giovani e giovanissimi gruppi imbevuti di sonorità a cavallo fra Sarah Records e Creation, storiche label britanniche a conduzione semifamiliare e semiclandestina (per lo meno nel periodo che interessa a noi), nel cui catalogo i nostri devono aver frugato abbastanza insistentemente nei decisivi anni della formazione.
Tra questi gruppi che hanno trascorso pomeriggi interi ascoltando il mixtape della compilation C86 fino ad assimilarne il colore indefinito e impercettibilmente sfocato, citiamo un po' a caso le Vivian Girls (anche loro finite di recente sotto i riflettori della critica più accorta), i My Teenage Stride, i Deprecation Guild, i The Pains Of Being Pure At Heart e i Manhattan Love Suicides, unici inglesi del lotto.
Tornando invece ai Crystal Stilts, ascoltando con attenzione le partiture del loro debutto, appare notevole la loro capacità di illusionismo e spaesamento spazio-temporale, l'equilibrio nel contaminare la new wave più plumbea e gelidamente invernale (soprattutto nel cantato) di Chameleons, Modern English e Auteurs (di poco successivi) con le chitarre morbide e carezzevoli dei primissimi Primal Scream, sporcate da melodie imprecise e appena abbozzate, molto vicine ai Jesus And Mary Chain. Il tutto tende a suonare a tratti un po' monotono, ma l'intensità emotiva è sempre palpabile, insieme a un gusto per gli arrangiamenti che spesso sa regalare sorprese piacevoli. Eloquenti a questo proposito soprattutto "Chattered Shine", l'eponima "Crystals Stilts" o "Graveyard Orbit", quest'ultima davvero notevole.
La gloria dei Crystal Stilts impianta la sua bandiera slavata in un piccolo regno dell'ampiezza di un sette pollici nascosto sotto la polvere di un vecchio negozio di dischi poco frequentato. La loro lezione (e quella della nobile musica che li ispira) è forse quella di imparare a essere, fino in fondo, marginali. Se verranno dimenticati, sorrideranno, perché avranno raggiunto il loro scopo. Finché, tra dieci anni, qualcuno non si imbatterà nel segreto di questa bellezza sepolta...
(21/12/2008)