Invece no, ed è con estremo piacere che ho scoperto una delle band progressive più interessanti degli ultimi anni.
La formazione a trio già rappresenta un territorio ideale per il progressive-rock. Se poi il trio è formato da tastiere, basso e batteria diventa quasi una sorta di impegno, di sacralità. Ståle Storløkken (keyboards), Nikolai Hængsle Eilertsen (bass and guitars), Torstein Lofthus (drums) hanno saputo creare un sound che ha radici nei classici prog degli anni Settanta, ma con un piglio assolutamente personale e moderno.
Imprescindibili i richiami a Emerson, Lake & Palmer, che del prog keyboard leaded sono ovviamente il faro guida, e qui non sono pochi in termini di sound, specie nella prima, infuocata, “Doodovoodoo”. Ma il trio dimostra di avere buone letture al di là dei pur seminali Elp. Si sentono influenze di Hatfield and The North e National Health, ma anche di Soft Machine ed Egg.
Accenni garbati al territorio jazz-rock (ah, che bello poter riesumare oggi il termine, dopo decenni di sterile e sterilizzante fusion becera), con spezie che portano alla memoria i primi Weather Report in alcuni momenti: addirittura due delle sette composizioni che costituiscono il corpus dell’album sono a firma del compianto Zawinul.
Composizioni ricche di improvvisazione e idee, soluzioni armoniche e talento strumentale mai, e dico mai, fine a se stesso.
Lontani anni luce da sterili esibizionismi muscolari e infantilismi metal, questi Elephant 9 hanno confezionato un disco memorabile, una speranza.
(12/08/2008)