Quinto album per lo sgraziato e sboccato menestrello di Bedford, New York. Ritorna il sempre giovane Adam Green (classe '81) e ci rivolge ancora manciate e manciate, ben 20 brani, del suo canzoniere di ironia finanche lurida, pescando a mani grosse dal qui e dal lì della storia dei cantautori. "Sixes & Sevens" è un titolo programmatico, che ci indica dove si è diretti. Calligrafia alla base della propria arte, più che stile di vita. Green scopiazza il modo di scrivere di tanti tizi e cai del passato; e ci attacca su la sua filosofia musicale: una voce più sporca e profonda di quel che ci si aspetta; liriche, come dire, parecchio su di giri ("and you're sucking this final chick", canta accompagnato da tanto di coro gospel in "Cannot Get Sicker"); aria scanzonata da sbandato dispettoso.
Per il precedente "Jacket Full of Danger" si era parlato di una certa compiutezza, di una nuova dimensione "fra Scott Walker e Jim Morrison". Bene, non è più così. Certo, resta una maggiore professionalità nell'approccio, palese nella padronanza di generi vari e nell'utilizzo di più strumenti. Stavolta però Green svaria tantissimo, omaggiando e omaggiando ancora i due, anzi tre (si pizzica anche dai cinquanta), decenni di riferimento. Si va dal calypso di "Tropical Island" alla fanfara di fiati con inflessioni soul di "Morning After Midnight" (singolo di lancio); dalla saltellante "Twee Twee Dee", con chitarre liquide e violini, alla ballata dal sapore doo-wap "Getting Led". In tanto girovagare si manifestano gli episodi più convincenti: il delicato arpeggio melodioso di "It's a Fine"; il noir di "You Get So Lucky", colorato da intrusioni di trombone e sottolineato da un flauto di pan; il tribalismo di "Leaky Flesk".
Quello che manca rispetto al Green prima maniera è il suo tratto più originale: i cambi di ritmo. Scegliere di imbrigliarsi in un formato ben definito, limitarsi a fare "la mia versione di", non giova al valore dell'opera, facendole perdere l'essenziale componente dell'imprevedibiità. Insomma, se prima in un brano si fondevano tre idee, oggi nasce una canzone per ogni idea. Ed è un male perché "Sixes & Sevens" suona atteso, non sorprende, è gradevole, ha i suoi momenti migliori e peggiori come gli altri suoi dischi, ma non esalta mai.
I pochi esperimenti sono semplicemente tali ("That Sounds Like a Pony", un minuto di recitato su più passi di batteria e improvvisi inserti di violino) o comunque poco melodiosi (per quanto ben fatti, come la circense "Sticky Ricky"), rinnegando la vena popoular.
Le critiche nulla tolgono al fatto che ci siano alcune belle canzoni, accompagnate da altre meno brillanti, sì, ma comunque ben fatte. Nulla tolgono al fatto che si tratti di un ascolto piacevole, di un disco carino. Più che altro credo che Green non sia ancora in grado di suonare classico, neanche un classico a modo suo, come ha provato. O meglio, che riesca anche ad esserlo dignitosamente, ma che i tagli sull'estro lo confinino nella sconfinata landa dei dischi, appunto, da sei e mezzo.
Brani migliori: "Cannot Get Sicker"; "Morning After Midnight"; "You Get So Lucky"; "It's A Fine".
28/03/2008