Scomposti filamenti di canzone si perdono in mille rivoli, la musica ci guida nei dintorni di melodie ridotte all’osso, arricchite con fantasia e gusto, variando struttura compositiva nel corso delle dodici tracce. Appaiono spumeggianti intrecci fra campionamenti e chitarre imbizzarrite (“I Want That”, “The Monster Song”), lanciando un messaggio di innovazione chiaro e limpido. Canzoni d’altri tempi sfumano leggere e ombreggiate (la frizzante “Part Like Waves” e i pulpiti gentili della title track), le policromie fioccano copiose e aggiungono tasselli ineguagliabili (la gustosa “Fickle Ghost” e le bizzarrie di “Somewhere There Is A Record Of Our Actions” ).
Attraverso due strumentali al limite fra sperimentazione pop e sfumature danzanti (“Marshat” pare una marcetta, “Homicide” è sghemba e disorienta), ci tuffiamo con rigogliosa felicità nei meandri dello spettacolo fin qui giunto solo all’introduzione. Coretti da baracca balcanica si imbellettano con impercettibili linee elettroniche (“Fix It”), “Mister Ant” sboccia fra ritmi doppi e ritornelli micidiali, le emozioni sgorgano inarrestabili con un piano languido e accigliato (“Screws”).
Annunciando una conclusione a sorpresa, il regalo finale che la band ci concede si concretizza con la perfetta “Parker”, un vero capolavoro di arte pop applicata al ritmo, sfrontata quanto basta, capace di comporre un’ideale sonorizzazione per una festa campestre dominata da balli sconclusionati, trombe scintillanti, luci fioche e una luna calante.
Calorosamente consigliato ad ogni amante della giocosità fusa con la tradizione della canzone popolare.
(16/11/2008)