Inossidabili come l’acciaio di Hattori Hanzo. Quest’ultimo scorcio di 2008 suggella il ritorno di fiamma (anche su queste pagine) dei “magnifici sette” di Staten Island. La dinastia dà un calcio alla decadenza. Il crepuscolo degli degli dei (anzi degli “Older Gods in questo caso) è di là da arrivare.
E ci vuol altro che un paio di, pur onorevoli, uscite in tono minore per intaccarne lo smalto mitologico. Comprensibile la soddisfazione di RZA che già nel settembre scorso aveva annunciato in tono trionfale la firma di un contratto con la Orchard per la ristampa digitale di tutto il catalogo del Clan (annesse affiliazioni, spin-off e side-project d’ogni sorta) e ora rilancia con un documentario sulla storia del gruppo “Wu: The Story Of The Wu-Tang Clan” di cui questa raccolta è l’ideale (ed effettiva) colonna sonora.
Una “selecta” che, com’era logico attendersi, privilegia i primi due album, l’ “opera monstre” che in due atti ha cambiato faccia al mondo dell’hip-hop (sentite cosa dice Kanye West: “Wu-Tang? Io e i miei amici non facciamo che parlare di loro. Pensiamo che la loro influenza sia fra le più grandi nella storia di questo movimento. Dallo slang, ai vestiti, dagli skit ai samples”), presenti in maniera massiccia e totalizzante attraverso gli anthem storici “Shame On A Nigga”, “Protect Ya Neck”, “Wu-Tang Clan Ain’t Nothing To Fuck With”, “Da Mistery Of Chessboxin’”, “C.R.E.A.M.” (da “Enter The Wu-Tang: 36 Chambers”, 1993), “Reunited”, Triumph”, “It’s Yourz” e “Older Gods (da “Wu-Tang Forever”, 1997), rimaneggiando un solo estratto da “The W” (l’immancabile capolavoro “Gravel Pit”) e nessuno dagli altri due.
I restanti sono episodi più o meno significativi provenienti dai migliori album solisti off-clan (il funky oldschool e torrenziale di “Daytona 500” e la solenne belligerante “Winter Warz” da “Iron Man” di Ghostface Killah e “Incarcerated Scarface” da “Only Built For Cuban Linx…” di Raekwon), oltre a un doveroso omaggio sull’altare di Ol’Dirty Bastard (il lascivo rituale d’accoppiamento “Shimmy, Shimmy Ya” dal solo “Return To The 36 Chambers”), una scelta che è un’ulteriore testimonianza dell’egida tentacolare di quel nucleo compositivo originale (la produzione è sempre di RZA e le basi ruminano sample e sonorità dalle opere principali) e che si spiega con la necessità di dare voce anche ai coprotagonisti più sacrificati dalla selezione ufficiale (in vetrina i featuring non secondari di gente come U-God, Masta Killa e Cappadonna). A questo proposito si potrebbe lamentare l’assenza di b-side di pregio (tipo “Third World”) e dei pezzi tratti dalla stupenda colonna sonora di “Ghost Dog – The Way Of Samurai” (ad esempio “Fast Shadow”, con il cast al gran completo), ma sono solo questioni d’etichetta che non intaccano il valore complessivo di questa celebrazione. Un compendio alla portata degli iniziati e un comodo promemoria per gli affiliati. Meglio se accompagnato alle immagini.
02/12/2008