Matt Jones

The Black Path

2009 (self-released)
songwriter, country-folk

Matt Jones. È un mio amico e questa la considero davvero una fortuna, poiché Matt è il miglior songwriter che abbia mai incontrato finora. […] Provate ad immaginare un Doc Watson impazzito per il ragtime, e raddoppiate in profondità e stravaganza il suo stile di picking.

Queste sono state le parole di Chris Bathgate quando, nell’intervista rilasciata nel 2007 a OndaRock, gli era stato chiesto quale fosse il miglior fingerpicker che avesse mai ascoltato dal vivo fino a quel momento.
All’epoca Matt Jones aveva già collaborato con numerosi artisti (Delta 88, Barzin, The Great Iron Highway, The Descent Of The Holy Ghost Church, Dabenport, The Shy Violets, Kyle Norris) e iniziava ad acquisire una certa notorietà nel panorama folk del Michigan, grazie anche alla sua appartenenza a quella élite di brillanti fellow-musicians di Ann Arbor comprendente, oltre allo stesso Bathgate, la deliziosa Misty Lyn e il solido Jim Roll (il cui studio di registrazioni di Ann Arbor ha visto passare, tra gli altri, Frontier Ruckus, Breathe Owl Breathe e Tim Monger dei Great Lakes Myth Society).
Al di fuori della scena locale, tuttavia, nel 2007 Matt Jones era ancora poco più che un perfetto sconosciuto, e il suo primo Ep “Right To Arms”, risalente a due anni prima, era passato completamente (e inspiegabilmente) inosservato.

Non c’è bisogno in questa sede di utilizzare fantasiosi panegirici o iperboliche metafore per introdurre Matt Jones e la sua musica: semplicemente, questo songwriter del Michigan possiede uno straordinario talento nella scrittura musicale e una formidabile dimestichezza con le partiture chitarristiche.
“The Black Path” è un album dalla torbida cristallinità, un intricato percorso tra i Campi Elisi del country e l’Ade oscuro del songwriting più tormentato. L’elegia della chitarra di Jones, accompagnata da malinconiche carezze di fisarmonica e archi, si posa dolcemente sul fondale di sognanti melodie (“One Cotton Shot Short”, “Holy Light”), sollevandosi quindi all’improvviso con un serrato vigore che, insieme a tenebrose pennellate degli archi e a un sontuoso incedere dei fiati, dona ai brani una cupa densità emotiva (“Threadlines”, “Jugulars, Bones & Blisters”).

C’è qualcosa di ancestrale nella musica di Matt Jones. I suoi nonni erano musicisti viaggianti in un circo, i suoi antenati suonavano al fronte durante la Guerra Civile. Fin dall’età di otto anni i genitori l’hanno mandato a lezione di piano. “Odiavo la musica classica”, ricorda, “ma il giorno in cui avevo deciso di dire alla mia insegnante di piano che me ne sarei andato, lei mi diede degli spartiti di ragtime per pianoforte di Scott Joplin: me ne innamorai subito e cominciai a suonare e ad ascoltare tutto il ragtime su cui riuscivo a mettere le mani…”.
Una formazione di cui è facile sentire l’eco nel passo di brani come l’iniziale “Threadlines”, che cresce intorno al picking agile di Jones. Il valzer di spazzole di “Marble Sleeves” ha la morbidezza del Neil Young più agreste, le volute d’archi di “Waltzing With Lady Dawn” evocano la suggestione di certi arabeschi alla Andrew Bird. I sapori celtici del fiddle di Carole Catherine Gray impreziosiscono il finale di “One Cotton Shot Short”, per riverberarsi nel breve strumentale “We Held For Nothing”. E una voce sottile rubata a Tom Brosseau scivola come miele tra orchestrazioni delicate e aperture corali, rimanendo sospesa in una vibrante intensità.

“Black Path”, secondo le parole dello stesso Jones, è un disco che ha a che vedere con il modo in cui le memorie possono modellare l’animo. È fatto di ferite che non sanno rimarginarsi, di cicatrici che scavano impietose nel cuore. “Leaves come hard and ghosts go easy / We are anything but healing”, confessa Jones sulle sparse note di piano e le corde scarne di chitarra di “Missing Vein”.
Il cammino dell’uomo è lastricato da un tappeto di lividi ricordi, cartoline del passato che si posano silenziose a tracciare una strada tortuosa e piena di ostacoli. Si tratta di un percorso doloroso, proiettato inevitabilmente verso una drammatica destinazione (“We’ll all say goodbye to this wonderful world”), che nella fragile grazia della conclusiva “Nothing Joyful” si scioglie tuttavia in un lenitivo senso di dolcezza.
Chris Bathgate ci aveva messi in guardia circa le straordinarie potenzialità del suo concittadino Matt Jones: la lunga strada della tradizione country-folk passa anche da Ann Arbor, soffermandosi tra gli incantevoli vicoli notturni di “The Black Path”.

19/03/2009

Tracklist

  1. Threadlines
  2. Marble Sleeves
  3. One Cotton Shot Short
  4. Holy Light
  5. Missing Vein
  6. Antietam
  7. Jugulars, Bones and Blisters
  8. A Sort Of So Long
  9. We Held For Nothing
  10. Waltzing With Lady Dawn
  11. Nothing Joyful

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