Andrew Bird

Andrew Bird

In equilibrio su una corda di violino

Violinista, songwriter, fischiatore provetto: Andrew Bird è un personaggio eclettico per natura. Una lunga strada per conquistare la sua personale alchimia, capace di conferire leggerezza anche alle architetture più raffinate. Storia di un percorso atipico attraverso il cantautorato indie americano, tra guizzi letterari, travolgenti improvvisazioni e canzoni nate in un granaio

di Gabriele Benzing

Life is too long to be the whale in a cubicle

"Le corde non hanno anima, vibrano solamente attraverso il cuore di chi le fa vibrare", ripeteva sempre ai suoi allievi il violinista Shinichi Suzuki. Imparare a suonare - sosteneva - è come imparare a parlare: nasce da un processo di imitazione. La chiave dell'educazione è semplice come lo sguardo di un bambino: "La musica esiste allo scopo di far crescere un meraviglioso cuore".

Anche il cuore di Andrew Bird è cresciuto secondo i dettami del metodo Suzuki. A quattro anni imbracciava già il suo primo violino: poco importa che si trattasse solo di una scatola di cartone con un righello... quel violino ha finito per diventare per lui la maniera più naturale per esprimere il suo cuore.

Nei suoi sogni di madre, Mrs. Bird immaginava i figli intenti a suonare musica da camera nel salotto della loro casa nei sobborghi di Chicago. Nella realtà, invece, solo Andrew ha raccolto la scintilla della passione per la musica: "Ho imparato a suonare a orecchio e fino a dodici anni per me è stato solo un gioco", ricorda. "Prima che la mia identità si fosse formata, me la cavavo già alla grande con il violino. Quindi mi ci sono semplicemente buttato a capofitto".
Al conservatorio della Northwestern University di Chicago, però, tutto cambia: quello che prima era solo un divertimento comincia a diventare come una prigione. "Al Conservatorio ero profondamente infelice, impegnato ad esercitarmi otto ore al giorno", osserva amaramente. "Le cose erano diventate serie, competitive e piene di tensione: tutto quello che si associa di solito all'idea di formazione classica".

C'è un momento, nella vita, in cui l'eredità che hai ricevuto deve essere rimessa in discussione perché possa diventare davvero tua. Per Andrew Bird quel momento coincide con la scoperta che la musica classica con cui è cresciuto non è che il punto di partenza della sua strada. "Non sono mai stato orientato verso la musica classica", ammette. "Una melodia di Mozart o di Bach o una vecchia canzone folk venivano assorbite dal mio orecchio allo stesso modo".
È così che Bird comincia a dedicarsi ad assimilare le influenze più disparate. "Per lo più ero circondato dalla musica classica, ma già a sette o otto anni, appena sentivo qualcosa di diverso, dal folk irlandese al bluegrass, volevo subito imitarlo. La fase più intensa per me è stata la passione per il primo jazz, tra i 19 e i 24 anni. Non riuscivo a immaginare musica migliore di quella di Johnny Hodges o degli altri artisti di quell'epoca, erano un'enorme influenza per me. Era per lo più jazz anteguerra, non be-bop, quando lo scopo era quello di creare melodie. Poi mi sono appassionato agli anni Cinquanta con Lester Young e i dischi della Verve".

Nel 1995, a ventidue anni e con un diploma al conservatorio nel carniere, Bird si trasferisce a Chicago e comincia a suonare il violino dovunque gli capiti, dai pub irlandesi alle fiere in stile rinascimentale... "Il violino è il modo più semplice che ho di esprimere quello che mi passa per la testa. Lascio che quel suono accada in maniera del tutto inconsapevole".
La chimera del rock, però, non tarda a far sentire il suo richiamo: nel 1996 si aggrega a una band locale, i Charlie Nobody, partecipando alla realizzazione dell'album "Soup"; il gruppo non brilla certo per originalità, ma nel disco si può ascoltare la primitiva versione di un brano autografo di Bird, "Nuthinduan Waltz". Un brano destinato a comparire, di lì a poco, anche nel primo album autoprodotto da Bird a proprio nome, Music Of Hair: nel disco, quasi interamente strumentale, Bird offre un saggio del suo virtuosismo al violino, senza però spingersi oltre ad un approccio calligrafico.
I brani di Music Of Hair sono concepiti per andare a comporre tre differenti parti, dedicate rispettivamente alla musica americana, a quella nordeuropea e a una sorta di personale mélange. Le canzoni vere e proprie sono solo quattro: la ballata dalle reminiscenze celtiche "Nuthinduan Waltz", in cui Bird si presenta con una voce più profonda e meno personale di quella che lo farà conoscere negli anni a venire; il cabaret mitteleuropeo di "Pathetique", ispirato a una poesia di Heinrich Heine, con i fiati e il pizzicato del volino di Bird ad accompagnare una melodia à la Kurt Weill; e infine la murder ballad "Two Sisters" e l'ironica "Song Of Foot", che si libra in maniera appena più ardita. Ma i numeri jazzistici che chiudono il disco lasciano intuire che nell'universo musicale di Andrew Bird qualcosa di nuovo si sta facendo strada.

That's when you know you're swinging


Bowl Of FireUn luccichio di fiati, un ritmo saltellante, coppie azzimate pronte a lanciarsi nel ballo: alla metà degli anni Novanta, in America il swing sembra essere tornato prepotentemente in voga. Sull'onda del successo dell'esordio della Brian Setzer Orchestra e di film come "Swing Kids" di Thomas Carter e come il cult-movie di Doug Liman "Swingers", un'intera scena neo-swing è pronta a dare la scalata alle classifiche. Tra le sue fila c'è anche Andrew Bird, che entra a far parte di uno degli ensemble più rappresentativi dello "swing revival": gli Squirrel Nut Zippers, fondati da James "Jimbo" Mathus all'inizio del decennio.
Il primo album in cui Bird offre l'apporto del proprio violino, "Hot", raggiunge sorprendentemente il traguardo del disco di platino, diventando un vero e proprio caso discografico nel 1997 con il singolo "Hell", accompagnato da un video a base di drappi scarlatti, bolle di sapone e corna di Belzebù. "Postmodern big band music", così la critica si ingegna a definire la musica del gruppo: Bird partecipa anche ai successivi album degli Squirrel Nut Zippers (fino a "Bedlam Ballroom" nel 2000), ma nel frattempo la sua attenzione si è già spostata altrove.

Insieme a due ex-compagni dei Charlie Nobody (il batterista Kevin O' Donnell e il bassista Josh Hirsch), Bird decide di dare vita a una band tutta sua, i Bowl Of Fire, ispirandosi a un nome trovato in un catalogo di trucchi per magia degli inizi del Novecento, in cui oggetti che oggi apparirebbero banali venivano presentati come meravigliose stravaganze per illusionisti. Al gruppo si affiancano anche James Mathus e Katharine Whalen degli Squirrel Nut Zippers e la band, dopo aver registrato qualche demo, firma un contratto con la Rykodisc.
L'esordio dei Bowl Of Fire, Thrills, vede la luce nell'aprile del 1998, alle porte di quella che verrà ricordata come la "summer of swing". Come da copione, si tratta di un disco dal sapore dichiaratamente anacronistico: "Eravamo immersi felicemente e senza intenti apologetici nella passione per gli inizi del ventesimo secolo: l'Opera da tre soldi, il calypso, gli Slim & Slam, Charley Patton, tutti i loro angoli più strani... Abbiamo registrato tutto con un paio di microfoni, alla vecchia maniera".

I Bowl Of Fire suonano come un'orchestrina dei ruggenti anni Venti intenta a mettere in scena una sorta di bizzarro teatro waitsiano. Tra swing, dancehall e jump blues, il limite maggiore di Thrills sta nel fatto di rimanere confinato nell'ambito di un genere dai tratti fin troppo caratteristici. Registrato in un pugno di giorni a New Orleans con l'ausilio del produttore Mike Napolitano, il disco offre a Bird lo spunto per rileggere con la nuova band due episodi di Music Of Hair, "Pathetique" e "Nuthinduan Waltz", che per l'occasione si riscopre immersa in tinte country-folk.
La spigliatezza di brani come "Glass Figurine" anticipa il tributo a Tin Pan Alley del Dylan di "Love And Theft", mentre la voce di Katharine Whalen insegue il fantasma di Billie Holiday nell'amara "A Woman's Life And Love", tratta dai versi del poeta tedesco Adelbert Von Chamisso, famoso per il suo ciclo di poemi lirici musicati da Robert Schumann. Se le accelerazioni di "50 Pieces" indossano abiti tzigani, la cover di "Some Of These Days" di Charley Patton riconduce i Bowl Of Fire lungo le sponde del Delta del Mississippi. Ma è in "Eugene" che i giochi lessicali e il gusto melodico di Bird riescono a trovare il loro connubio più efficace.

Dopo aver collaborato alla colonna sonora de "Il prezzo della libertà" di Tim Robbins, nell'agosto del 1999 Bird torna con un nuovo album al fianco dei Bowl Of Fire, intitolato con esplicita autoironia Oh! The Grandeur. "È un disco strano", osserva a posteriori. "Sentivo la mia concezione della musica andare oltre il mio controllo. Invece di combatterla ho cercato di abbracciarla". Oh! The Grandeur, realizzato ancora una volta a New Orleans insieme a Mike Napolitano, con l'aggiunta di Colin Bunn alla chitarra, ripercorre così il canovaccio di Thrills senza discostarsi troppo dalle atmosfere del predecessore, fatta eccezione per la maggiore ambizione degli intenti.
Gli arzigogoli della chitarra e il violino svolazzante di Bird sembrano uscire da un vecchio disco di Django Reinhardt, anche se l'album finisce per suonare appesantito da qualche ripetizione di troppo. I profumi caraibici di "Coney Island Shuffle" invitano più che mai alla danza, mentre la languida "The Confession" rinascerà a nuova vita dieci anni più tardi, quando verrà ripresa in Noble Beast con il titolo di "The Privateers".
Anche in Oh! The Grandeur non manca il tributo ai versi di un poeta: stavolta si tratta dell'americano Galway Kinnell (a cui si ispirava anche il titolo di Music Of Hair), citato nella soffusa "Wait". Ma i testi di Bird si fanno più personali, come quando in "Tea And Thorazine" affronta le vicissitudini del fratello autistico con una dolorosa ironia che non sfigurerebbe tra le pagine di "Electro-Shock Blues" degli Eels: "Animate yourself an alternate reality/ Consummate a self-pleasing artificiality/ You can have yourself a tea".


L'effimera stagione del nuovo swing tramonta rapidamente e all'affacciarsi del nuovo millennio per Andrew Bird giunge l'ora di interrogarsi sul proprio futuro: "Quando andavamo in una città per un concerto non c'era neanche un poster che lo pubblicizzasse, nessuna radio suonava le nostre canzoni e ci trovavamo davanti una quarantina di persone". Bird decide così di affrontare una nuova sfida: un disco pop a tutto tondo, in cui misurarsi faccia a faccia con i più tipici ingredienti della musica popolare: "Volevo fare un buon disco da juke-box", riconosce senza troppi giri di parole. Inevitabilmente, anche l'organico dei Bowl Of Fire subisce una metamorfosi, con la definitiva separazione dai membri degli Squirrel Nut Zippers e l'ingresso della cantante Nora O' Connor accanto a O' Donnell, Hirsch e Bunn.

Il terzo album dei Bowl Of Fire, The Swimming Hour, prodotto sempre da Mike Napolitano ma registrato stavolta quasi interamente a Chicago, viene pubblicato nell'aprile del 2001 dopo una lunga lavorazione. "Il trucco era quello di registrare canzoni complesse e stratificate senza farle suonare elaborate. Anche se c'era un sacco di elementi, alla base è una spontanea performance dal vivo".
Fin dall'iniziale "Two Way Action", con i suoi marcati accenti rock e il suo violino sgargiante, è subito chiaro che Bird si è lasciato alle spalle il passato: "Ero eccitato per il modo in cui canzoni come '11:11' e 'Two Way Action' mi hanno sorpreso. Registrare un disco è noioso se realizzi tutte le tue idee come le senti nella tua testa".
Dal blues dolente di "Why?" all'intenso tuffo nella "Anthology Of American Folk Music" di "Fatal Flower Garden", passando per la galoppata western di "Way Out West" e le tentazioni di tango di "Case In Point", Bird sfoggia tutto il proprio eclettismo, con una voce che acquista toni alla Jeff Buckley. In più di un'occasione, però, la sua volontà di dare vita a uno zibaldone di generi rischia di risolversi in un semplice esercizio di stile, come nello zucchero Fifties di "Dear Old Greenland" o nei ghirigori country di "Too Long", ispirata a un brano dei Mississippi Sheiks.
Il successo non arride neppure stavolta ai Bowl Of Fire. Ma per Andrew Bird una nuova svolta - quella decisiva - è alle porte.

Then it was dusk in Illinois

Weather SystemsUn casolare rosso si staglia sui declivi delle colline, il tetto candido a fare capolino tra le cime degli alberi. Nelle prime luci del mattino, una figura scivola accanto al guscio metallico di un silos con un violino tra le mani. Poi comincia a suonare nel silenzio irreale della campagna.
Nel 2002 Andrew Bird decide di cambiare vita: abbandona Chicago e si trasferisce nel bel mezzo della campagna dell'Illinois, nella fattoria della sua famiglia nei pressi della cittadina di Elizabeth. Ha un'idea ben precisa in testa: ristrutturare il granaio della fattoria per trasformarlo in uno studio di registrazione. "Il punto stava nel tentativo di unire il processo di registrazione in un tutt'uno con la routine quotidiana fatta di svegliarsi, fare colazione e tutto il resto". E mentre lavora alla sistemazione del granaio, immerso nella quiete dei campi, la musica ricomincia a prendere forma intorno a lui. Una musica diversa, che ha bisogno di una lenta metamorfosi per imparare ad appartenere alla terra che la circonda. "C'è voluto molto tempo per riconciliarmi con questo nuovo ambiente e con tutti i suoni che ho scoperto in un cambiamento di vita così netto".

È un ritorno all'essenza, un bisogno di scavare fino al nocciolo della questione. Bird riparte dal proprio violino e dalla propria voce, senza nessun'altra mediazione.
Una sera, tornato a Chicago per un concerto, si ritrova sul palco da solo, senza i Bowl Of Fire a sostenerlo. Per rendere più efficace l'impatto della sua performance in solitaria, Bird registra sul momento il proprio violino, in modo da poter utilizzare dei loop come accompagnamento mentre continua a suonare: una tecnica utilizzata negli stessi anni con la chitarra da un altro songwriter americano, Joseph Arthur, destinata a diventare per entrambi una sorprendente fonte di spunti creativi. Non contento, Bird decide di aggiungere al violino un inconsueto strumento naturale: il proprio fischio, intenso e vibrante come il suono di un theremin. "Ho cominciato a fischiare quasi senza accorgermene fin da quando avevo cinque o sei anni", racconta. "Fischiavo tutto il giorno, mandando la gente fuori di testa". Quel fischio, ora, si trasforma invece in un elemento capace di conferire un carattere ancora più unico alla sua musica.

Mentre lavora ai brani che stanno germogliando nel suo ritiro agreste, Bird realizza un album dal vivo autoprodotto da vendere in occasione dei concerti, Fingerlings, primo di una serie che diventerà la sua personale collezione "Bootleg Series". Una preziosa raccolta di istantanee che consente di osservare da una visuale più ravvicinata la sua avventura di songwriter, anche se - come afferma lo stesso Bird - "le performance dal vivo sono piene di picchi e di cadute e di momenti estatici che onestamente, sentiti centinaia di volte in macchina o in casa, rischiano di diventare noiosi".
Bird si presenta subito nella sua nuova veste solista, con l'uso del pizzicato a scandire brani per sola voce e violino come "Action/Adventure", per poi farsi affiancare da Nora O' Connor in alcuni estratti del tour affrontato nel 2001 come supporto dei concittadini Handsome Family. E a chiudere idealmente il cerchio della fase di transizione testimoniata da Fingerlings, l'ultima parte dell'album vede Bird in compagnia dei Bowl Of Fire per una scatenata e alcoolica rilettura di brani come "How Indiscreet" e "Tea And Thorazine".
Nello stesso periodo, Bird sforna anche una raccolta di brevi scampoli strumentali per violino, The Ballad Of The Red Shoes, realizzata insieme alla madre Beth, che si occupa della parte grafica del progetto. Ma per dare a The Swimming Hour il seguito che Bird ha in mente, i tempi non sono ancora maturi: il songwriter americano decide allora di cominciare a mettere nero su bianco alcune delle idee su cui ha cominciato lavorare. "Era una sorta di esperimento in cui mettere da parte la pressione che circonda la realizzazione di un disco e lasciare ogni cosa diffondersi, rilassarsi, espandersi, respirare più liberamente".

Nasce così Weather Systems, vero e proprio incipit di un nuovo capitolo nella carriera di Andrew Bird. E come ogni inizio che si rispetti, a inaugurarlo è un'introduzione dal titolo programmatico: "First Song", proemio pastorale ispirato ancora una volta a una poesia di Galway Kinnell, con il fischio veemente di Bird a cullare la melodia. I Bowl Of Fire appartengono ormai al passato, ma accanto a Bird ci sono ancora Nora O' Connor e Kevin O' Donnell, anche se la loro presenza rimane soltanto sullo sfondo. Le tinte si fanno più tenui, i contorni più sfumati, l'inventiva più libera: complice la produzione di Mark Nevers dei Lambchop, Weather Systems privilegia i chiaroscuri, dal ritmo ondeggiante di "Lull" al fluttuare cameristico della title track. Proprio il senso di libertà è la cifra che segna lo spartiacque rispetto ai precedenti lavori di Bird, spesso troppo imbrigliati nei confini di uno schema: procedendo per sottrazione, il songwriter di Chicago giunge alla fine a trovare il proprio volto.
Oltre a un paio di brevi brani strumentali e a una cover di "Don't Be Scared" degli Handsome Family, a completare il quadro fanno la loro comparsa due brani ancora in divenire, che verranno portati a compimento solo nei dischi successivi: "Skin", antenata strumentale della "Skin Is, My" di The Mysterious Production Of Eggs, e "I", versione al ralenti di quella "Imitosis" che vedrà la luce su Armchair Apocrypha, ispirata al ricordo d'infanzia di un episodio di "Sesame Street" in cui i protagonisti vivevano dentro una "I" maiuscola.

I versi di Weather Systems sono percorsi da un senso di contemplativa solitudine: "Being alone it can be quite romantic", canta Bird in "Lull", "Like Jacques Cousteau underneath the Atlantic/ A fantastic voyage to parts unknown/ Going to depths where the sun's never shone/ And I fascinate myself when I'm alone". Il modo di tratteggiare le immagini si fa sempre più suggestivo e fantasioso: "Le mie canzoni preferite sono quelle vaghe nel testo e non troppo descrittive nella melodia", afferma. "Le canzoni che hanno più forza sono quelle più semplici e aperte. Le più deboli, invece, sono quelle che sono appesantite da un concetto o dal bisogno di comunicare un'idea specifica".
"Weather Systems" esce originariamente nell'aprile del 2003 per una piccola etichetta locale, la Grimsey Records, ma ben presto viene ripubblicato dalla Righteous Babe di Ani Di Franco, che garantisce all'album una diffusione molto più ampia. Il disco comprende anche la traccia video di un breve documentario su Bird girato da Robert Trondson, mentre i disegni dell'artwork vengono affidati alla matita di Jay Ryan dei Dianogah, che inaugura una duratura collaborazione artistica con Bird.
L'edizione europea, che viene data alle stampe l'anno successivo ad opera della Fargo, contiene un nuovo brano, "Sovay", pubblicato anche come singolo. "Avevo bisogno di una nuova parola per descrivere circostanze senza precedenti", spiega Bird a proposito del titolo della canzone. "In una vecchia ballata inglese per bambini c'era questa parola misteriosa, 'sovay'. Non ho mai saputo che cosa significasse, ma per me calzava perfettamente". Con il suo arrangiamento elaborato e il suo respiro evocativo, si tratta del migliore anticipo della direzione intrapresa da Bird per il proprio nuovo disco.

The naming of things

The Mysterious Production Of EggsL'artigianato pop non è un mestiere facile. Servono una sensibilità e un senso della misura fuori dal comune per non scivolare nella scontatezza. Ci sono voluti anni, ad Andrew Bird, per affinare il suo personale equilibrio: ma alla fine, ecco svelarsi la formula magica.
Appena conclusa la registrazione di Weather Systems, Bird si mette subito al lavoro per realizzare l'album che sta progettando sin da quando ha lasciato Chicago. Le nuove canzoni, cresciute per lungo tempo sul palco, faticano a trovare il loro spazio in studio: "quasi ogni canzone è passata attraverso 15 o 20 complete riscritture: e intendo differenti melodie, differenti testi, differenti arrangiamenti". Bird abbozza due intere versioni del disco, che però vengono scartate perché lo lasciano sempre insoddisfatto. Poi Tony Berg lo invita a raggiungerlo a Los Angeles e gli presenta il produttore David Boucher: è con il suo aiuto che The Mysterious Production Of Eggs prende finalmente forma.

Intanto, Bird collabora con artisti del calibro di Kristin Hersh ("The Grotto") e Bonnie "Prince" Billy ("Sings Greatest Palace Music") e realizza un nuovo episodio della sua collezione di live: Fingerlings 2, datato 2004, anticipa numerosi brani del futuro The Mysterious Production Of Eggs, tra cui una "Banking On A Myth" in duetto con Nora O' Connor e una "Skin Is, My" che gli permette di lasciarsi andare alle sue fulminee improvvisazioni. "È come un invito al pubblico a vedere quello che succede nella mia stanza o nel mio granaio quando faccio musica. Cerco di ricatturare quella sensazione di scoperta di qualcosa di nuovo. E penso che sia palpabile per il pubblico se stai prendendo dei rischi e ti stai divertendo". In "Sovay", poi, nel ruolo di backing band d'eccezione entrano in scena i My Morning Jacket, che conferiscono al brano un andamento terrigno e dylaniano. A sorpresa, la rivista "Mojo" sceglie Fingerlings 2 come disco del mese: tutto sembra pronto, ormai, per la consacrazione artistica di Bird.

"C'è sempre una tensione tra voler scrivere un tipo di canzone conciso, di immediata gratificazione, che ti entri sotto la pelle al primo ascolto e voler far sì che si espanda. Penso che sia una tensione salutare". È da questa tensione che nasce The Mysterious Production Of Eggs, un disco in cui le intuizioni di Weather Systems si sublimano in raffinate stratificazioni, senza tuttavia rinunciare mai alla levità melodica. Le partiture di violino di Bird si distendono con un lirismo dall'afflato più classico che mai: "Ravel e Bach spuntano fuori dal mio subconscio: è quello con cui sono cresciuto", osserva. Ma tutto rimane funzionale ad una contagiosa architettura pop, dai passaggi bacharachiani di "Masterfade" alle improvvise divagazioni di "The Naming Of Things" e "MX Missiles".
Il volteggiare inquieto di "A Nervous Tic Motion Of The Head To The Left", il pulsare incalzante di "Fake Palindromes", la scorribanda exotica di "Skin Is, My": quello di The Mysterious Production Of Eggs è un pop barocco in cui le chitarre si intrecciano a ricami di glockenspiel e piano elettrico, da qualche parte tra Rufus Wainwright e Sufjan Stevens. Bird, però, si schermisce dai paragoni coniati dalla critica per catalogare la sua musica: "non amo essere coinvolto in particolari scene dal punto di vista stilistico. Trovo che siano opprimenti e in un certo senso anche deprimenti, almeno per me".

Traendo spunto dal diretto contatto con la realtà della vita dei campi, Bird declina la misteriosa produzione delle uova come metafora dell'esperienza artistica: "Il songwriting - e la creatività in generale - è una delle poche misteriose produzioni che sono sopravvissute dalla mia infanzia". Una creatività fatta di versi dal lessico eccentrico, punteggiati di calembour arguti, immagini pungenti e continui giochi di rimandi.
Lo sguardo ironico di Bird osserva la deriva di un mondo schiavo delle leggi del mercato, in cui tutto sembra poter essere ridotto a una misura: "Get out your measuring cup and we'll play a new game/ Come to the front of the class and we'll measure your brain/ We'll give you a complex and we'll give it a name", sussurra tra i delicati arpeggi di "Measuring Cups". "La maggior parte dei brani del disco", spiega, "parla dell'infanzia sotto l'attacco di forze oscure che vogliono misurare, commutare, comprare e vendere cose che non possono essere misurate". Ma l'essenza della vita non può essere costretta in uno schema né spiegata attraverso un calcolo, come rivela "A Nervous Tic Motion Of The Head To The Left": "Ask our esteemed panel/ Why are we alive/ And here's how they replied/ You're what happens when two substances collide/ And by all accounts you really should've died".
L'unica via d'uscita sembra essere quella di un "Opposite Day" in cui ogni molecola decida improvvisamente di cambiare la propria forma, facendo venire meno le leggi stesse della fisica. O forse, come suggerisce la conclusiva "The Happy Birthday Song", basterebbe che ci fosse ancora qualcuno capace di cantarti "Happy Birthday" come se fosse il suo ultimo giorno sulla terra.

The Mysterious Production Of Eggs, pubblicato dalla Righteous Babe nel febbraio del 2005 con un brillante artwork fumettistico (nuovamente opera di Jay Ryan), conquista subito i consensi della critica ("Pitchfork" gli riserva un 8.3) e la forza del passaparola lo porta a superare la soglia delle 75.000 copie vendute.
Bird, dopo avere prestato la sua collaborazione a "Z" dei My Morning Jacket e "Knucle Down" di Ani Di Franco, accompagna in tour la cantautrice di Buffalo, cogliendo l'occasione per presentarsi per la prima volta a un pubblico più ampio. E sono in molti a rimanere senza parole di fronte alle esibizioni di quel ragazzo dallo sguardo perennemente sovrappensiero, a cui basta increspare appena le labbra per creare portentose melodie. Bird imbraccia il violino come se fosse una chitarra, accompagna la voce con le note del glockenspiel e si lancia nelle sue travolgenti improvvisazioni, calcando il palco senza scarpe per mettere in mostra il suo piccolo peccato di vanità: la passione per i calzini multicolori. "I migliori, quelli più colorati e con i motivi più interessanti, sono quelli di Paul Smith", assicura: e se lo dice lui c'è da fidarsi...

Machinations and palindromes

Armchair Apocrypha"Sei quello che accade quando due sostanze entrano in collisione", dichiarava Bird in The Mysterious Production Of Eggs. E quella che avviene a qualche mese di distanza dall'uscita del disco è una vera e propria collisione artistica tra sostanze affini: l'incontro tra Bird e il musicista elettronico Martin Dosh. I due suonano per la prima volta insieme nel settembre del 2005, in occasione di un concerto a Minneapolis, e subito scoprono una sorprendente sintonia: "Dosh mi ha introdotto alla possibilità di un approccio diverso", afferma Bird.
A testimoniarlo è anzitutto Fingerlings 3, licenziato dal songwriter americano nel 2006, in cui il contributo di Dosh alla batteria conferisce nuovi dinamismi ritmici a brani come "A Nervous Tic Motion Of The Head To The Left". A differenza dei precedenti volumi della serie, il nuovo Fingerlings non comprende però solo esecuzioni dal vivo, ma anche brani registrati in studio (l'inedito "Dear Dirty") e persino nel granaio di Bird ("The Water Jet Cilice" e "Ethiobirds"), con il canto dei grilli e il frinire delle cicale a fare da platea.

La collaborazione con Martin Dosh segna in profondità anche il seguito di The Mysterious Production Of Eggs, Armchair Apocrypha, registrato prevalentemente a Minneapolis e pubblicato nel marzo del 2007 dopo il trasloco di Bird tra le fila della label Fat Possum. Dosh si occupa di batteria, pianoforte elettrico, wurlitzer e "atmosfere", contribuendo alla ricerca da parte di Bird del proprio personale wall of sound: "è una trama che voglio cercare di creare con la batteria, una 'vastità gentile' in cui la batteria non colpisca in maniera appuntita e ritmica ma sia come una sorta di affresco. Mi interessa creare un muro di rumore, una trama di cui la batteria sia una parte invece di conferire solo un determinato beat". A conferma del desiderio di esplorare nuove forme di scrittura, sul magmatico tappeto di "Simple X" Bird si limita ad aggiungere i propri versi a una composizione di Dosh, "Simple Exercises", che nel 2004 introduceva l'album "Pure Trash".
Armchair Apocrypha si veste così di un'inedita elettricità, riempiendo ogni spazio con accumuli strumentali e densi spessori chitarristici. "Imitosis" suona come la perfetta sintesi del cantautorato eclettico di Bird, tra danzante letterarietà e tintinnanti giochi a incastri, mentre "Plasticities" alterna le tonalità avvolgenti delle strofe alle colorate aperture pop del chorus. Le orchestrazioni delicate di "Scythian Empire" fanno da contraltare alle ambiziose volute impressionistiche di "Darkmatter": la trama complessiva dei brani, però, finisce per apparire troppo spesso sovraccarica, perdendo lungo la strada quella sottile grazia che attraversava il disco precedente.

Con la consueta inventiva, Bird trasforma una lezione di scienze nel guizzo filosofico di "Imitosis": "We were all basically alone/ And despite what all his studies had shown/ That what's mistaken for closeness/ Is just a case of mitosis". Come racconta lui stesso, "alcune delle canzoni migliori vengono da un disperato tentativo di fuga, stando seduto per ore in un aeroporto a tirare fuori piccoli frammenti di canzoni dalla mia testa". Ma il sorriso sulle labbra di Bird lascia sempre la porta aperta alla speranza: "Scrivo molto più quando sono felice, perché sono motivato e pieno di speranza. L'idea che si scrivano canzoni perché si è depressi e si sente il bisogno di comunicarlo in qualche modo non è vera per me. Scrivevo molte canzoni in tonalità minori, ma le tonalità minori sono molto limitate. Possono essere una sola cosa, mentre le tonalità maggiori hanno molte più possibilità".

Armchair Apocrypha segna la definitiva affermazione di Bird: il disco vende oltre 100.000 copie e Bird viene ospitato nei principali talk show americani, da David Letterman a Conan O' Brien. La sua apparizione televisiva più imperdibile, però, è quella nel programma per bambini "Jack's Big Music Show", in cui Bird veste i panni del "Dr. Stringz", un improbabile aggiustatore di strumenti a corda che entra in scena per aiutare i pupazzi protagonisti dello show, cantando una frizzante canzoncina che comparirà spesso anche nei concerti del songwriter.
A fare da appendice ad Armchair Apocrypha, alla fine del 2007 viene messo in vendita in occasione del tour europeo l'Ep Soldier On, che lascia spazio a un'atmosfera più intima e rarefatta rispetto a quella dell'album. Accanto a un remix di "Plasticities" e a un demo di "Heretics", Bird inanella tre preziosi inediti: se "The Trees Were Mistaken" ruota intorno ai battiti e ai riverberi orditi da Dosh, il viaggio nell'America elettorale di "Sick Of Elephants" galleggia su un'aura impalpabile; ma è soprattutto "The Water Jet Cilice" a rubare il cuore con il suo struggimento folk. Bird si misura con una ballata risalente all'epoca della prima guerra mondiale, "How You Gonna Keep 'Em Down On The Farm", conferendole tenui contorni di acquerello. E il duetto con Nora O' Connor sulle note di "Oh Sister" è semplicemente una delle più intense riletture di brani di Bob Dylan che sia dato ascoltare nel nuovo millennio.

Bring a different nomenclature

Noble BeastC'è chi concepisce i concerti come una sorta di liberatorio karaoke collettivo e chi invece sale sul palco con il desiderio di dare vita ogni sera a qualcosa di completamente nuovo. Andrew Bird, ovviamente, appartiene alla seconda categoria: per lui, le canzoni sono creature in continuo divenire, sottoposte ad infinite trasfigurazioni in ogni album e in ogni esecuzione. "È deprimente pensare di dover sempre ricreare sul palco il disco registrato in studio", afferma senza mezzi termini. "Ogni notte cerco di giocare qualche jolly per rimanere con i piedi per terra, tanto per essere sicuro di non fingere. Il peggiore scenario possibile, per me, è andare con il pilota automatico".
Così, dopo l'uscita di Armchair Apocrypha, Bird non perde l'occasione per reinventarsi nuovamente in tour: per la prima volta dai tempi dei Bowl Of Fire decide di farsi affiancare da una vera e propria backing band, incentrata sulla batteria di Martin Dosh e sulla chitarra di Jeremy Ylvisaker. Bird partecipa ai principali festival americani (la registrazione della sua esibizione ad Austin City Limits viene messa in vendita in formato digitale) e nel settembre del 2008 suona al Millennium Park di Chicago per un concerto gratuito davanti ad oltre 15.000 persone.
A testimoniare l'impatto dell'inedito trio portato in scena da Bird, nel 2008 arriva un nuovo disco dal vivo, Live In Montreal. Subito le corde del violino demarcano scarne i contorni della classica "Why?", lasciando la voce libera di inseguire un funambolico blues. Poi, ecco entrare in "Opposite Day" le percussioni frammentate di Dosh, che si addensano nei beat incalzanti di "Simple X". Dalle inflessioni jazzistiche che scandiscono "Skin Is, My" a una "Imitosis" che freme tra chitarre taglienti e trilli di violino, i brani si espandono e si dilatano, cambiando lineamenti fino a conflagrare nella conclusione di "Darkmatter".

Il nome di Andrew Bird, ormai, entra a pieno titolo nell'élite del cantautorato indie. Persino Mtv lo invita a duettare per la serie "Iggy" con il celebre violoncellista Yo-Yo Ma - sì, proprio quello che per primo suonò a Ground Zero nell'anniversario degli attentati alle Twin Towers.
Dalla sua fattoria, nel frattempo, Bird è pronto a tornare in campo con un nuovo album. Martin Dosh è sempre della partita, insieme a Jeremy Ylvisaker e a numerosi altri collaboratori, ma questa volta la sua influenza si fa meno pregnante e meglio intessuta con la sensibilità di Bird.
Noble Beast, che arriva nei negozi all'inizio del 2009, è un variopinto microcosmo popolato di esseri bizzarri e di innocui sociopatici, un miraggio partorito dalla fantasia di un violino incantato: basta un cenno di archetto per spazzare via in un istante tutte le incertezze lasciate da Armchair Apocrypha, restituendo Bird all'essenza del proprio talento. Fin dal modo in cui la melodia di "Oh No" si presta all'intreccio tra la sua voce morbida e quella della cantante georgiana Kelly Hogan, le ingombranti stratificazioni elettriche del precedente album lasciano il posto a un'anima acustica che rimanda direttamente alle atmosfere di The Mysterious Production Of Eggs.
Registrato per la maggior parte a Nashville insieme a Mark Nevers, con le note dei vecchi dischi di Kris Kristofferson e degli Everly Brothers nell'aria, Noble Beast non si lascia costringere facilmente in un'unica definizione: tessiture ritmiche e screziature sintetiche offrono direzioni inattese ai brani, trasformando le tinte folk di "Masterswarm" in un lieve incedere dal profumo latino, mentre gli slanci che avvolgono "Nomenclature" assumono un tono quasi radioheadiano, con accenti che solo in "Not A Robot, But A Ghost" si fanno troppo marcati.
Tra battimani e irresistibili volteggi, "Fitz And The Dizzyspells" porta M. Ward a lezione dai Fab Four per aggiornare il manuale della perfetta canzone pop. Il velo arpeggiato di "Natural Disaster" e il pianoforte di "Souverian" accarezzano le tenui sfumature del Beck di "Sea Change". E in "The Privateers" Bird si fa accompagnare dagli svedesi Loney, Dear per rileggere la vecchia "The Confession", risalente ai tempi dei Bowl Of Fire di Oh! The Grandeur.

Sciami di insetti e microscopici protozoi attraversano i versi di Noble Beast, sbucando dalla copertina da sussidiario di entomologia della deluxe edition del disco. "Solo la melodia è pura, i testi possono essere corrotti", si schermisce Bird. Ma per un geniale affabulatore come lui, la parola ha un fascino irresistibile.
Parole ironiche e ricercate, parole che si fanno musica per il loro stesso suono: con le proprie parole, l'animale-uomo sa costruire intorno a sé un perfetto specchio di illusioni, riducendo la realtà a un "pallido fac-simile" fatto di "false conversazioni a telefoni inesistenti". Eppure, quelle stesse parole hanno anche il potere di portare con sé "una differente nomenclatura", di restituire alle cose il loro significato.
Nomina sunt consequentia rerum, ammonivano gli antichi. In fondo è proprio in questo che sta la nobiltà dell'uomo: dare alla realtà il suo vero nome. Animale, ma non solo animale: "a-non-animal", per dirlo con il pittoresco neologismo creato da Bird.

L'edizione speciale di Noble Beast aggiunge al programma un secondo cd interamente strumentale, Useless Creatures (poi pubblicato anche in formato autonomo), realizzato da Bird con l'ausilio di Todd Sickafoose al contrabbasso e di Glenn Kotche degli Wilco alle percussioni. C'è l'eco della musica tradizionale keniota nei ritmi di "Nyatiti", ci sono i rumori della natura del granaio di Bird nei sospiri di "The Barn Tapes": dal dipanarsi post di "Carrion Suite" all'elettricità statica di "Spinney", la musica spazia attraverso paesaggi ambientali che abbandonano i vincoli della forma-canzone, sempre seguendo il sentiero tracciato dal violino di Bird.
Frutto dell'incontro con l'illustratrice di Chicago Diana Sudyka, il curatissimo artwork naturalistico del doppio cd dà vita con le sue pennellate lievi a un intero ecosistema in miniatura: "Andrew è venuto a trovarmi al Museo di Storia Naturale di Chicago", racconta Diana Sudyka, "abbiamo parlato delle minuscole, complesse comunità che si possono vedere sotto un tronco caduto o al microscopio... E quando ha cominciato a diventare poetico a proposito di muschi, licheni e radiolari, ho sentito il mio cervello esplodere!".
A fare da diretta appendice a Noble Beast, arriva a pochi mesi di distanza l'Ep Fitz And The Dizzyspells: un controcanto che ha il fascino dei mondi possibili, pur non aggiungendo nulla a quanto mostrato da Bird nel disco precedente. "Ten-You-Us" baratta il morbido tappeto ritmico di "Tenousness" con un delicato arpeggio acustico di marca Donovan, mentre "Sectionate City" traduce in forma di canzone l'omonima divagazione strumentale già presente in Soldier On: l'avvilupparsi del violino sulla sua andatura caracollante è il motivo migliore per non trascurare l'ennesimo gioco di versioni alternative sfoderato da Bird.

Sulla scia di Useless Creatures, nel 2010 Bird decide di intraprendere una speciale serie di concerti quasi interamente strumentali, ispirati all'idea di "Gezelligheid": "è un termine olandese", spiega Bird stesso, "che può essere solo approsimativamente tradotto con la parola "intimità", che però non riesce a descrivere in pieno l'intenso calore, l'atmosfera gioiosa e amichevole che il termine esprime nella lingua originale". Spazi raccolti, luci avvolgenti, come un ritrovarsi intorno al focolare: da queste atipiche performance viene tratto Fingerlings 4, che documenta la serata tenuta alla Fourth Presbyterian Church di Chicago. Accanto a una collezione di cesellature strumentali che spaziano dall'epoca di The Ballad Of The Red Shoes ("Dance Of Death") fino ai tempi più recenti ("Master Sigh"), la voce di Bird torna a farsi sentire nell'inedita "The Sifters" e nella cover di "Meet Me Here At Dawn" di Cass McCombs.
La musica di Bird approda anche al Guggenheim, come supporto all'installazione dello scultore Ian Schneller "Sonic Arboretum": una piccola foresta di 75 corni di amplificazione pensata per creare un effetto sinfonico, "il frastuono di una molteplicità di voci".
La vena strumentale di Bird prosegue nel 2011 sul grande schermo, con la colonna sonora del film di Jonathan Segal "Norman". La storia, incentrata su un adolescente eccentrico e tormentato, si sposa alla perfezione con il fluttuante accompagnamento ideato da Bird. Oltre alla versione di "Darkmatter" già inclusa in Armchair Apocrypha, la colonna sonora offre gli abbozzi di due brani destinati a comparire nel suo succesivo album: "Arcs And Coulombs" e "Night Sky", che diventeranno rispettivamente "Lusitania" e "Sifters".
Nello stesso periodo, Bird corona la sua passione per i pupazzi partecipando a una compilation dedicata ai Muppets, "The Green Album", in cui interpreta da par suo l'inno della rana Kermit "Bein' Green".

The ocean like a violin

Break It Yourself150 giorni di febbre. L'esperienza di Bird sul palco, dopo l'uscita di Noble Beast, è talmente intensa da portarlo a uno stato costantemente febbricitante. Il regista Xan Aranda gli dedica un documentario intitolato non a caso "Fever Year". Così, al momento di registrare un nuovo album, Bird decide di portare con sé tutta la confidenza e l'estemporaneità dei suoi concerti. E torna nel suo granaio con un registratore a otto tracce e una formazione ridotta all'osso: la batteria di Martin Dosh, la chitarra e le tastiere di Jeremy Ylvisaker, il basso di Mike Lewis. "È cominciato tutto come una gloriosa sessione di prova", spiega. "L'opposto della produzione: quattro musicisti che suonano in una stanza insieme. Ci sono troppi dischi che suonano come una serie di decisioni e non come una performance".
Niente impalcature elaborate, niente derive barocche. In Break It Yourself, pubblicato all'inizio del 2012, a Bird basta stare aggrappato alle corde del proprio violino e lasciare andare tutto il resto. Libero di essere sé stesso, senza bisogno di corollari da aggiungere. Per regalare uno dei tasselli più preziosi della sua discografia.


Le nuove canzoni del songwriter americano vanno in cerca dello spazio in cui distendersi, percorse da uno spirito di improvvisazione che rimanda all'essenzialità di Weather Systems. Sin dalle prime note di "Desperation Breeds..." la melodia levita impalpabile, si rifrange, insegue l'orizzonte, si attorciglia intorno a un ritmo. "Sifters" assume il tono di una ninnananna appassionata, mentre "Danse Caribe" prende spunto dall'originaria versione strumentale pubblicata su Fingerlings 4 per imbarcarsi sul bastimento di Paul Simon nel suo viaggio intorno al globo, lungo la rotta di "The Rhythm Of The Saints". Non c'è l'immediato scintillio di Noble Beast, ma una fascinazione più sottile, che si rivela a poco a poco lungo i percorsi sinuosi del violino.
Il singolo "Eyeoneye" sfoggia un fiorire di aromi Sixties, ma a ferire sono soprattutto i momenti più indifesi del disco, come lo svolgersi trepidante di "Lazy Projector". In "Lusitania" entra in scena anche la morbida voce di Annie Clark (aka St. Vincent), ospite d'onore nel duetto con lo svagato fischiettio di Bird. L'archetto accarezza danze profumate d'Irlanda, le dita pizzicano le corde per tratteggiare i contorni. E se "Give It Away" imbastisce scioglilingua con la consueta leggerezza, il passo di "Near Death Experience Experience" si insinua contagioso tra i classici del repertorio di Bird.


Lo sguardo di Break It Yourself sembra farsi più personale che in passato. Ma anche quando parla d'amore, Bird lo fa sempre a modo suo. Calandosi nei panni di un bambino che va a trovare una vecchia signora all'ospizio, per sorprendere quella corrispondenza capace di unire misteriosamente due destini: "What if you were 75 and I were 9?/ Would I still visit you, bring you cookies in an old folks' home?". Alla fine, la musica diventa un tutt'uno con il respiro della natura, accompagnando il frinire dei grilli sotto il cielo notturno. "The sound is a wave like a wave on the ocean", canta Bird. "The moon plays the ocean like a violin".
Per Break It Yourself, Bird offre un'edizione limitata molto speciale, con tanto di carta da lettera e francobolli a tema, oltre a un dvd che immortala la registrazione dell'album, intitolato "Here's What Happened". Tra il 2011 e il 2012, Bird regala ai fan anche due Ep dal vivo in formato digitale: il primo, Fake Conversations, si rivolge soprattutto ai brani del passato, mentre il secondo, Northwest Passage, si incentra sulla resa sul palco delle nuove canzoni. E i versi di "Tables And Chairs" ("I know we're gonna meet someday/ In the crumbled financial institutions of this land") assumono un'attualità profetica in tempo di crisi finanziaria.
Dalle stesse sessioni di registrazione di Break It Yourself arrivano anche l’Ep Give It Away (con una cover di “So Much Wine” degli Hansdome Family) e, soprattutto, Hands Of Glory: un lavoro presentato dallo stesso Bird come il “compagno musicale” di Break It Yourself, ma a cui in realtà va decisamente stretto il ruolo di semplice appendice. In Hands Of Glory, il violino di Bird assume un’inflessione più country che mai. Musica da fiddle, musica nata per accompagnare danze agresti e feste di famiglia. Non più la musica di un uomo che “ha passato un po’ troppo tempo da solo”, come cantava in “Effigy”, ma la celebrazione di un’insperata possibilità di condividere le note del proprio cuore. La chiusura del cerchio, in fondo, rispetto ai tempi dei Bowl Of Fire.

Basta sentire il tono spensierato della classica “Railroad Bill”, che Bird interpreta lasciandosi andare a un effervescente numero western. Potrebbe suonare quasi fuori contesto, rispetto alla raffinata ricercatezza da sempre condensata da Bird nelle proprie canzoni. E invece è proprio la sintesi perfetta del senso di comunità che pervade Hands Of Glory, e che si respira anche nella scelta dei brani: dall’ennesimo tributo ai vecchi amici Handsome Family (“When The Helicopter Comes”), fino al rinnovarsi nell’ariosa “Spirograph” del legame con gli Alpha Consumer (la band in cui milita Jeremy Ylvisaker), dal cui repertorio Bird aveva già sfoderato “The Crown Salesman”.
Hands Of Glory guarda così alla tradizione, ma non tanto in termini di recupero di un canone. Ad affascinare Bird sembra essere piuttosto la capacità della musica tradizionale di penetrare il mistero delle cose: amore, morte, destino. E, soprattutto, incompiutezza. È di questo che parla Townes Van Zandt nei versi tormentati di “If I Needed You”: l’illusione dell’autonomia, il bisogno radicale di qualcuno a cui affidare il proprio desiderio. “If I needed you/ Would you come to me/ And ease my pain?”. Bird se ne appropria con la voce del suo violino, trasportandola magicamente sul carrozzone della “Rolling Thunder Revue” dylaniana.
È l’eco di questa consapevolezza a riflettersi nelle parole di “Something Biblical”: “In your absence nothing’s growing/ And still the county remains dry”. Nulla germoglia nella solitudine. E quando arriva l’ora dell’addio, il riconoscimento si fa ancora più semplice: “You will need somebody when you come to die”, canta Bird in “Three White Horses”. Non per le lacrime e neppure per la consolazione. Ma perché l’io si compie solo in un tu.

Tra il 2012 e il 2013 Bird torna in tour, sia in versione full band che nel formato "Gezelligheid", e andando a suonare persino nel bel mezzo del deserto del Mojave al fianco di Tift Merritt per sostenere i parchi naturali americani con il progetto "The Quietest Show On Earth".
Alla fine del 2013, il songwriter americano sforna un Ep quasi interamente strumentale per la piccola etichetta Grimsey, intitolato I Want To See Pulaski At Night. Un Ep che gravita tutto intorno al brano che ha ispirato il titolo, “Pulaski At Night”: “Avevo questa nuova canzone pronta”, spiega Bird, “e invece di aspettare qualche anno per farla uscire ho composto una sorta di colonna sonora per accompagnarla, come se la canzone fosse un film”.
Alla genesi estemporanea dell’Ep corrisponde la sensazione di un lavoro licenziato di getto, che non si distanzia troppo dalle precedenti esperienze di Bird con il formato strumentale. Non c’è da stupirsi allora che l’unico momento ad apparire veramente compiuto sia quello in cui la voce di Bird torna a farsi sentire: l’ode a Chicago di “Pulaski At Night”, posta emblematicamente al centro della scaletta e tutta giocata sul dualismo tra il passo incalzante e il distendersi della melodia.

The wind will be my hands

Things Are Really GreatIl ritorno alle radici intrapreso da Bird con Hands Of Glory prosegue nel 2014 con un intero disco dedicato alla rilettura di brani degli Handsome Family. Il suo amore per la musica dei coniugi Brett e Rennie Sparks, del resto, Bird l’ha manifestato a più riprese in tempi non sospetti. Viene da chiedersi, allora, quale sia il legame che unisce così intimamente il songwriter americano alle canzoni degli Handsome Family. È lo stesso Bird a provare a spiegarlo, presentando Things Are Really Great Here, Sort Of...: “Mi sento come se abitassi le loro canzoni tanto quanto le mie”, riflette. “Sono diventate in pratica una parte del mio stesso processo di scrittura e delle mie performance”.
Ecco allora la prima chiave: la scrittura. Tanto evocativa e sfuggente quella di Bird, quanto lirica e narrativa quella degli Handsome Family. E così, Bird si misura in Things Are Really Great Here, Sort Of... anzitutto con il racconto. Un racconto intriso di atmosfere da gotico americano, da qualche parte tra Flannery O’Connor e l’“Anthology Of American Folk Music”. È proprio per lasciare spazio al racconto che Bird sembra voler fare un passo indietro rispetto alle canzoni che affronta, lasciando spazio a storie degne della più pura tradizione appalachiana.

È così che si arriva direttamente alla seconda chiave: la tradizione. Non a caso, sia l’approccio (registrazione dal vivo intorno a un unico microfono) sia la formazione sono in sostanza gli stessi di Hands Of Glory. Con la fondamentale aggiunta della cantautrice Tift Merritt, la cui voce è decisiva nel ricreare le armonie vocali degli Handsome Family. Il rapporto con il passato, del resto, non è una novità per Bird: “Ho cominciato con i Bowl Of Fire facendo lo stesso genere di cose”, ricorda, “ma allora era diverso: ero spinto più che altro dalla nostalgia, mentre adesso sono approdato a un suono old time perché sentivo il bisogno di qualcosa che fosse meno prodotto”.
La strada scelta da Bird, insomma, è quella di procedere per sottrazione. Ma il dipanarsi lineare dei brani pescati dal canzoniere degli Handsome Family finisce per mancare nel complesso di quella personalità capace di dare vita a una vera e propria opera di appropriazione. Solo in un paio di episodi si ritrovano i guizzi tipici dello stile di Bird, dal pizzicato di “Tin Foiled” allo struggimento di “Far From Any Road (Be My Hand)” (riscoperta proprio nel 2014 come sigla della serie televisiva “True Detective”). Ed è proprio lì, nel momento dell’epilogo, che il disco tocca il suo apice, con l’intreccio di contrabbasso e violino a evocare la solitudine di un paesaggio desertico: “Rise with me forever across the silent sands/ And the stars will be your eyes, and the wind will be my hands”.

Sul versante strumentale, invece, il 2015 vede la nascita di un nuovo progetto, significativamente battezzato “Echolocations”, in cui Bird si propone di immergere in maniera più totalizzante che mai la musica in uno specifico contesto geografico.
Il primo volume, Echolocations: Canyon, nasce dalla colonna sonora scritta per un'esposizione di Ian Schneller e cattura le registrazioni effettuate tra i canyon del Coyote Gulch, nello Utah, evidenziando il lato più etereo e sperimentale della musica di Bird. Il secondo volume, pubblicato nel 2017, si intitola invece Echolocations: River e si incentra sulla performance di Bird sotto lo storico ponte Hyperion Bridge, in California.

Leave the valleys of the young

Are You SeriousLa vita è una cosa seria, parola di Andrew Bird. Il che non significa che il nostro fischiatore preferito si sia messo in testa di farci la predica: semplicemente, ha deciso di lasciar parlare l’esperienza prima della finzione poetica. Proprio lui, l’immaginifico giocoliere di parole, per una volta non ha bisogno di travestimenti. Gli basta essere sé stesso. Con una domanda semplice e diretta: “Chi ha tempo per la poesia, quando si trova alle prese con cose come la nascita e la morte?”.
È la vita reale, insomma, la vita che non fa sconti, la vita pura e semplice a prendere il sopravvento nel 2016 in Are You Serious. E già dal titolo del disco, Bird sembra ammiccare a quella che definisce con un sorriso ironico “la mia personale incursione nel regno del cantautorato confessionale”.
Chi si aspettasse la classica svolta intimista, però, sarebbe decisamente fuori strada: Are You Serious sembra piuttosto voler recuperare sin dalle prime note la grana pop di Noble Beast, dopo le digressioni in chiave folk esplorate a partire da Break It Yourself. Il beat incalzante di “Roma Fade” e gli svolazzi melodici di “Puma” suggeriscono addirittura un Bird più estroverso che mai, assecondato dal vigore di una nuova band (con Blake Mills alla chitarra, Ted Poor alla batteria e Alan Hampton al basso).

Dietro alle inedite sinuosità soul del singolo “Capsized” non è difficile però scovare le tracce di un paio di classici gospel trasfigurati dal vivo per anni da Bird (“Jesus Is A Dying Bed Maker” e “Keep Your Lamp Trimmed And Burning”, già presente nel 2002 nel primo Fingerlings). Le radici della tradizione restano insomma la filigrana costante che continua a trasparire in controluce anche nei nuovi brani, dagli acquerelli acustici di “Chemical Switches” fino alla litania folk dal sapore antico di “Saints Preservus”.
Are You Serious si rivela allora un disco più poliedrico di quanto i brani iniziali non lascino presagire, frutto di un lavoro che alla spontaneità di Break It Yourself privilegia un approccio maggiormente metodico.
Tra brani che prenotano già il loro posto d’onore nel canzoniere (su tutti la title track, direttamente sulla scia di “Imitosis”) e citazioni ormai ricorrenti dai diari di viaggio di Paul Simon (“The New Saint Jude”), il limite semmai è la mancanza di sorprese, in un disco che mette in fila alla perfezione tutto quello che ci si potrebbe aspettare da un album di Andrew Bird.

Serve un imprevisto per cambiare le carte in tavola, ed è quello che capita con l’entrata in scena di Fiona Apple nel duetto di “Left Handed Kisses”: grazie a lei, il bozzetto originario del brano (portato sul palco da Bird con Tift Merritt già al Newport Folk Festival del 2013) si trasforma in qualcosa di profondamente diverso, una dialettica amorosa arrochita da una lunga nottata a base di whisky, capace di riportare in vita il ricordo di certe vecchie schermaglie firmate Johnny e June.
I brani di Are You Serious riflettono i cambiamenti intervenuti nella vita di Bird, dal matrimonio alla paternità, fino al trasloco in California. Ma per lui è “Valleys Of The Young”, con il suo accumulo elettrico alla Armchair Apocrypha, a rappresentare il cuore di tutto il disco, il definitivo superamento della linea d’ombra che separa la giovinezza dalla maturità, nella consapevolezza di portare su di sé anche il peso del destino di un altro: “Still our hearts are constantly breaking/ From their cradle to our grave/ Is it selfish or is it brave?”.
Ecco perché la domanda è così insistente, così ostinata, così impellente: “So tell me, are you serious?/ Are you serious?/ ‘Cause every night of your life/ You’ll fight for it”. Senza prendersi sul serio non varrebbe nemmeno la pena di gettarsi nella mischia. “But are you serious when it really comes down to it?”.

La deluxe editiondel disco offre un paio di brani aggiuntivi, giusto per a completare il quadro di una rinnovata vocazione al pop d'autore, con una declinazione più briosa che mai di “Pulaski At Night” (intitolata per l'occasione semplicemente “Pulaski”) e la variopinta “Shoulder Mountain”.

Now there are no sides

My Finest Work YetL’età della rabbia: non sarebbe stato male, come titolo per un album di Andrew Bird. La definizione coniata per riassumere il nostro tempo dallo scrittore Pankaj Mishra calza a pennello al set di canzoni sfornato nel 2019 dal songwriter americano. Canzoni che parlano di una “uncivil war” in cui siamo tutti immersi, arruolati in una sorta di conflitto permanente. Perché la “guerra civile globale”, come scrive Mishra, è qualcosa che riguarda l’intimo di ciascuno: “la sua linea Maginot attraversa i cuori e le anime delle persone”. Bird si schiera in prima linea proprio lungo quella trincea interiore. Non puntando il dito, ma accettando la sfida più difficile: quella di guardarsi dentro.

Per un bel po’, Bird si è arrovellato su come riassumere tutto questo nel titolo di un disco. Poi, semplicemente, ha smesso di provarci. E ha deciso di puntare sull’autoironia: My Finest Work Yet, in tutta modestia… Che poi in fondo è quello che pensa ogni artista della sua ultima creazione, anche se di solito non ha il coraggio di metterlo nero su bianco. Come se non bastasse, sulla copertina si è messo a vestire i panni del Marat di Jacques-Louis David: “Sono o non sono un vero poeta tormentato?”, sembra volerci chiedere con un sorriso. Oggi più che mai, la leggerezza salverà il mondo.
Ma quello che conta è che questo My Finest Work Yet è davvero uno dei capitoli più brillanti della discografia di Bird. Il più diretto dai tempi di The Mysterious Production Of Eggs, verrebbe da dire. Sarà la confidenza che sfoggia, anche a discapito della ricerca di nuove strade. Accompagnato dalla stessa band di Are You Serious, Bird torna a mettere la sua vena di autore al servizio dell’immediatezza: “ho sentito un’urgenza diversa nello scrivere queste canzoni”, spiega, “come se stavolta avessi uno scopo preciso”

Se “Sisyphus” regala subito una delle più memorabili melodie fischiate del Nostro, a mettere in mostra l’anima pop del disco ci pensano il chorus contagioso di “Fallorun” e le soffici volute di “Manifest”. Colori accesi che si rincorrono per tutto l’album, dalla plasticità del pizzicato di “Olympians” ai cambi di ritmo di “Don The Struggle”, passando per i fiati dal sapore soul che introducono “Proxy War”.“Ero ossessionato dall’idea di riuscire a catturare un suono da gruppo jazz”, racconta Bird, “quella sorta di connubio tra jazz e gospel che c’era in giro nei primi anni Sessanta”. Lo si sente soprattutto in “Bloodless”, il brano che sin dalla fine dello scorso anno aveva anticipato l’uscita di My Finest Work Yet e che era stato accolto come una moderna canzone di protesta contro l’amministrazione Trump. Tra citazioni bibliche e rimandi alla guerra civile spagnola, in realtà “Bloodless” si spinge oltre, al fondo di un cronico risentimento manipolato dagli algoritmi dei social.
Ci nutriamo di odio come i mostri di qualche vecchio b-movie, e alla fine i nostri nemici diventano tutto quello che ci definisce (“A three-headed monster swallows Tokyo/ Her enemies are what make her whole”: ancora una volta, serietà e ironia in perfetto equilibrio...).
Ma che cosa succederebbe se semplicemente voltassimo le spalle a tutto questo? Se decidessimo di non accettare più il gioco delle parti che ci fa mettere gli uni contro gli altri? Invece di condannarci a spingere il nostro masso su per la salita come Sisifo, lasciarlo rotolare a valle: “Let it roll, let it crash down low”, è il motto di “Sisyphus”. Che sia proprio questa la via per smettere di essere tutti atolli sperduti nell’oceano, per riscoprire il nostro legame di uomini? “So take my hand, we’ll do more than stand/ Take my hand, we’ll claim this land/ Take my hand, and we’ll let the rock roll”. Forse aveva ragione Camus: “bisogna immaginare Sisifo felice”.

Alla fine del 2019, Bird diffonde un Ep natalizio in formato digitale. Ma, nella solitudine del confinamento della primavera del 2020, comincia a prendere forma l’idea di sviluppare quelle canzoni in un album vero e proprio. Il disco, intitolato Hark!, arriva a ottobre dello stesso anno, anticipato da “Christmas In April”: “When will we know if we can meet under the mistletoe?”, si chiede Bird. E la sua voce è quella dell’incertezza di un’epoca sospesa tra le ascisse e le ordinate della curva epidemica.
Tutto è partito dalle melodie festive del Vince Guaraldi di “A Charlie Brown Christmas”, che Bird si è messo a improvvisare per puro gusto jazzistico. “Christmas Is Coming” si libra su un fischiettio spensierato, mentre in “Skating” è il violino a rincorrersi con la batteria di Ted Poor, il contrabbasso di Alan Hampton e la chitarra di Jeff Parker.
Bird allestisce poi una scintillante confezione regalo per un pugno di cover che di natalizio hanno in realtà solo lo sfondo stagionale: l’iniziale “Andalucia” (dal capolavoro cantautorale di John Cale, “Paris 1919”) è il vertice del disco, con quella dolcezza nostalgica che sembra fatta apposta per il pizzicato del violino di Bird. Quindi c’è l’omaggio alla memoria del compianto John Prine, con una versione di “Souvenirs” che baratta la schiettezza polverosa dell’originale per una giocosa vivacità. E non mancano nemmeno i vecchi amici Brett e Rennie Sparks, meglio noti come Handsome Family, a cui Bird aveva già dedicato la collezione di riletture di Things Are Really Great Here, Sort Of…: stavolta la loro “So Much Wine” va a fondersi con le note della carola natalizia “What Child Is This?”, mescolando sacro e profano sotto il titolo di “Greenwine”.
Dal repertorio più tradizionale vengono una solenne “Oh Holy Night”, affidata al vibrante fischio di Bird, una resa sobria e colloquiale dell’immancabile “White Christmas” e l’epilogo swingante di “Auld Lang Syne”. Per una volta, Bird si misura a modo suo anche con una partitura di musica classica: la ninnananna di Schubert “Mille cherubini in coro”, uno dei brani preferiti della madre del songwriter americano (responsabile anche dell’artwork del disco, come non accadeva dai tempi di The Ballad Of The Red Shoes).
A completare la scaletta, i brani autografi: un trittico di canzoni semplici e avvolgenti secondo il più consolidato stile birdiano (oltre a “Christmas In April”, “Alabaster” e “Night’s Falling”), a cui si aggiunge lo strumentale “Glad”, firmato dal bassista Alan Hampton. Tradizione senza grandi sorprese, ma è proprio questo il cuore del disco: “onestamente, la musica natalizia è fatta così”, confessa Bird. “Ha una funzione utilitaristica. Il profumo che viene dal forno, la bellezza delle luci e quello che c’è sullo stereo. La musica non è altro che uno dei fattori che contribuiscono alla nostra comune o solitaria gioia e malinconia”.

Nel frattempo, Bird appare anche come attore nella serie "Fargo". Quando torna nel 2022, con gli undici episodi di Inside Problems, il musicista americano sceglie una solida formazione di quattro elementi - Alan Hampton, Mike Viola, Abe Rounds e Madison Cunningham - per un set di canzoni dalla continua tensione armonica e strumentale.
Ad aprire le danze sono le dilatazioni chamber-folk intercettate dallo shuffle funk in chiave jazz di “Underlands”. Anche l’apparente faciloneria del vezzoso indie-folk “Faithless Ghost” e i quasi sette minuti della scintillante “Eight” non sono del tutto ordinarie: merito di rifiniture strumentali - le tonalità del violino nella prima e la lunga coda strumentale nella seconda - che ne sparpagliano i confini e le pur semplici direttive. È un continuo susseguirsi di metafore e rielaborazioni delle sette note, insieme costituiscono la materia prima della mutaforma canzone d’amore alla Velvet Underground “The Night Before Your Birthday”, del vezzoso chamber folk “Lone Didion” o del giocoso folk’n’roll alla Jonathan Richman “Stop N' Shop”. Nel rinverdire la recente collaborazione con Jimbo Mathus, Bird gli offre rilievo nella melodia più retrò (“Faithless Ghost”), mentre le radici classiche fanno capolino nelle citazioni nascoste dietro la leggerezza folk-pop di “Atomized” o nell’elegante coda strumentale della delicata ballata “Fixed Positions”.
Inside Problems conferma Andrew Bird come autore elegante e sontuoso (la title track, “Make A Picture”) e nello stesso tempo introspettivo e austero (“Never Fall Apart”). Uno dei pochi musicisti che a ogni appuntamento discografico rinnova magia e spessore.

Dal primo violino giocattolo alle canzoni cresciute tra le pareti del suo granaio, quella di Andrew Bird è una carriera che non ha mai assecondato i percorsi convenzionali. Le esperienze che ha attraversato hanno contribuito a rendere la sua musica inconfondibile: quel fischiettìo svagato, quel violino dalle movenze eclettiche, quella voce capace di librarsi con grazia buckleyana... Eppure la sua alchimia non suona in alcun modo scontata: il segreto sta tutto nella leggerezza con cui ogni elemento sa intessersi insieme agli altri, senza che le cesellature della trama finiscano per suonare ridondanti. È stata una lunga conquista, la sua. Ma in fondo lo insegna anche il metodo Suzuki: il tempo è fatto apposta per svelare il cuore dell'uomo.

 

Contributi di Gianfranco Marmoro ("Inside Problems")

Andrew Bird

Discografia

ANDREW BIRD'S BOWL OF FIRE
Thrills (Rykodisc, 1998)

6

Oh! The Grandeur (Rykodisc, 1999)6
The Swimming Hour (Rykodisc, 2001)

6,5

ANDREW BIRD
Music Of Hair (1996)

6

Fingerlings (live, 2002)

6,5

Weather Systems (Grimsey, 2003)

7

Fingerlings 2 (live, 2004)

6,5

The Mysterious Production Of Eggs (Righteous Babe, 2005)

8

Fingerlings 3 (live, 2006)

7

Armchair Apocrypha (Fat Possum, 2007)

7

Soldier On (Ep, 2007)

7

Live In Montreal (live, 2008)

6,5

Noble Beast (Fat Possum, 2009)

7,5

Useless Creatures (Fat Possum, 2009)

6

Fitz And The Dizzyspells (Ep, Bella Union, 2009)

6,5

Fingerlings4 (live, 2010)

6,5

Fake Conversations (live, 2011)6,5
Break It Yourself (Mom + Pop, 2012)7,5
Give It Away (Ep, Bella Union, 2012)6,5
Northwest Passage (live, 2012)6,5
Hands Of Glory (Mom + Pop, 2012)7
I Want To See Pulaski At Night (Ep, Grimsey, 2013)6
Things Are Really Great Here, Sort Of... (Wegawam, 2014)6,5
Echolocations: Canyon (Wegawam, 2015)6
Are You Serious (Loma Vista, 2016)7
Echolocations: River (Wegawam, 2017)6
My Finest Work Yet(Loma Vista, 2019)7,5
Hark!(Loma Vista, 2020)6,5
Inside Problems (Loma Vista, 2022)7
Pietra miliare
Consigliato da OR

Streaming

Eugene
(live, da "Thrills", 1998)

Glass Figurine
(live, da "Thrills", 1998)

Why?
(live, da "The Swimming Hour", 1999)

First Song
(live, da "Weather Systems", 2003)

Lull
(with Dianogah, da "Weather Systems", 2003)

Sovay
(live, da "The Mysterious Production Of Eggs", 2005)

Measuring Cups
(live, da "The Mysterious Production Of Eggs", 2005)

A Nervous Tic Motion Of The Head To The Left
(live, da "The Mysterious Production Of Eggs", 2005)

Skin Is, My
(live, da "The Mysterious Production Of Eggs", 2005)

Imitosis
(da "Armchair Apocrypha", 2007)

Plasticities
(live, da "Armchair Apocrypha", 2007)

Simple X
(live, da "Armchair Apocrypha", 2007)

Fitz And The Dizzyspells
(live, da "Noble Beast", 2009)

Oh No
(live, da "Noble Beast", 2009)

Effigy
(live, da "Noble Beast", 2009)

Sectionate City
(live, da "Fitz And The Dizzyspells", 2009)

Give It Away
(da "Break It Yourself", 2012)

Near Death Experience Experience
(live, da "Break It Yourself", 2012)

Danse Caribe
(live, da "Break It Yourself", 2012)

Three White Horses
(da "Hands Of Glory", 2012)

If I Needed You (T. Van Zandt)
(live, da "Hands Of Glory", 2012)

Left Handed Kisses
(da "Are You Serious", 2016)

Sisyphus
(da "My Finest Work Yet", 2019)

Christmas In April
(da "Hark!", 2020)

Andrew Bird su OndaRock