Se fantasia era la parola d'ordine di quella grande sorpresa, maturità è quella del suo successore, "Armchair Apocrypha". Forte del successo di critica e pubblico, Bird fa un ulteriore passo in avanti sulla strada della personalità. Le dodici canzoni del nuovo disco, più che appartenere a questo o a quel genere, sono la forma compiuta dell'idea di musica del loro autore. Sicchè tutte le influenze confluiscono in un formato stilistico unico e riconoscibile.
Assai significativo è il brano migliore, la splendida "Imitosis", nata dalle ceneri di "I" (dal primo album, "Weather System"). La versione originaria - un lento gioco di incastri di giro di acustica, scossoni di elettrica, loop di violino e recitazione depresso/asettica - era un palese tributo a Bill Callahan. Quella odierna trova invece nuova linfa vitale: acquistando velocità, rivestendosi di un arrangiamento più composito e scorrevole (i violini che si aprono, un gioioso trillare di piano), alterando in chiave pop l'inciso, cambiando colore all'interpretazione.
La compattezza è anche qualitativa. "Armchair Apocrypha" paga sì al predecessore una minore altezza in fatto di vette, ma si rifà in spessore, presentando un massiccio quantitativo di canzoni belle o molto belle. A partire dal singolo, "Heretics": un festoso guizzo di violino e chitarra elettrica (alla "Fake Palindromes"), la melodia che si apre a tonalità differenti (passando dal gioioso al confidenziale), una buona carica rock alle spalle.
Ed è proprio il ripescaggio del chitarrismo grezzo dell'indie anni 90 una delle due maggiori novità sonore. Esemplare in tal senso è "Plasticities", solita girandola di emozioni, tramutata da ballad delicata e sommessa in movimentato ed epico pop-rock. L'altra è la gommosità delle tastiere, protagoniste nella mordiba "Simple X” (a tratti sorpresa da sommosse di percussioni).
L'ambizione del violinista sconfina talvolta in territori meno prevedibili, come "Armchairs". Qui l’esperimento è fondere un dolce lento pianistico (stavolta siamo nei '70) con la solita instancabile ricerca melodica, sbalzando l’ascoltatore in un caleidoscopio di cantautorato pop. L'innesto, pur non perfettamente quadrato, riesce ad essere coinvolgente e più che apprezzabile.
Altri brani notevoli nel finale. "Scythian Empire": un carosello di pianoforte e chitarra, un fischiettiare trasognato con inciso dolce e dal sapore beckiano; "Cataracts": una ballata dolente su cui vengono scaricate, con successo, tutte le istanze di cantautorato classico. Degna chiusura è affidata invece ad uno strumentale per sovrapposizioni di violini, "Yawny at the Apocalypse", davvero molto intimo.
"Armchair Apocrypha" è la piena testimonianza di un talento, oggi più che mai, solido e sicuro. Anche se lievemente inferiore a "The Mysterious…", è questo il disco con cui Andrew Bird inizia a poggiare le basi per divenire un classico del cantautorato indipendente.
Da avere senza remore.
(19/03/2007)