Ogni nuova uscita di Will Oldham (o Palace, o Bonnie Prince Billy, o come diavolo lo volete chiamare) è un po’ come un rassicurante e sereno ritorno a casa: certo, di volta in volta mutano i dettagli, ma sono piccolezze, la sostanza rimane fortunatamente sempre la stessa. E allora è doppiamente affascinante gettarsi a capofitto nell’ultimo capitolo della sua discografia, questo "Bonnie Prince Billy sings greatest Palace music", dal momento che il disco rappresenta una sorta di "best" dell’incarnazione oldhamiana denominata Palace, con la particolarità che tutti i pezzi selezionati sono stati riarrangiati e letteralmente tirati a lucido per l’occasione.
Mettiamo subito in chiaro la cosa fondamentale: questo disco sarà una cocente delusione per i fan superficiali di Oldham, quelli che sono sempre rimasti affascinati dalla sua marcata estetica lo-fi senza scendere più in profondità, e sarà un’autentica manna dal cielo per coloro i quali hanno saputo invece intravedere sotto la patina naif dei suoi bozzetti appena accennati canzoni con la C maiuscola, forti di melodie tanto semplici quanto impeccabili e di testi poetici e profondissimi, canzoni che in questo disco risultano valorizzate come non mai prima, e che tramite la compiutezza formale raggiungono la statura di veri classici. Tutto è perfettamente equilibrato, sottovoce ma non troppo, profumato di America in ogni angolo, filologicamente tradizionale (l’aderenza ai canoni country-folk-blues è praticamente totale) in maniera talmente sincera da non suonare mai vecchio, piuttosto "senza tempo".
Le canzoni scelte sono quindici, tutte bellissime e soprattutto emozionanti: la delicata "New Partner", impreziosita in questa versione da un arrangiamento di fiati a sottolineare quel "and you’re always on my mind" che abbiamo già dedicato in passato a chissà quanti amori, il country classicissimo di "Ohio River Boat Song", tra ritorni a casa ("when it’s time from work to go/ and in my boat i row/ ’cross the muddy Ohio") e passioni tanto travolgenti quanto effimere ("she’s my beauteous Katerina/ she’s my joy and sorrow too/ though I know she is untrue/ oh but I cannot live without her"), la malinconia dell’essere disadattati e outsider rispetto alla società in cui si vive nella sublime ballata "Gulf Shores" ("you have laid here by the waterside/ you have let your family down… all our friends have gone away from here/ so let’s disappear from sight) e tante, tante altre perle che vanno solo ascoltate e riascoltate a cuore aperto.
Menzione d’onore a quella "Agnes, Queen Of Sorrow", che già si era meritata nel cuore di chi scrive un posticino speciale quale migliore canzone di Oldham nonché una delle più belle canzoni d’amore mai scritte, che in questa versione - lieve ma anche così malinconica e triste, la voce di lui affiancata da quella di Marty Slayton, una slide guitar che viene direttamente dal cuore e i leggeri tocchi di violino - porta irrimediabilmente alle lacrime. Unica pecca, il booklet non contiene gli splendidi testi (ma i fan li conosceranno già a menadito). Un disco in sostanza che lascerà spiazzati alcuni, che farà impazzire altri, ma comunque un tassello importantissimo nella discografia di Oldham, che ormai entra dalla porta principale nella storia della musica tradizionale americana, quella vera, quella che amiamo.
24/11/2006