Ricco di rimandi sia musicali che testuali alla “nuova frontiera” islamica dell’America di fine decennio (un argomento che a lui, musulmano convertito a meno di vent’anni, sta ovviamente a cuore come testimonia l’incipit affidato a un discorso di Malcom X che invita a elevare la disputa razziale a guerra contro la povertà fisica e morale della nazione), “The Estatic” è un disco dall’impianto ritmico sobrio e minimale, che si appoggia all’hip-hop tradizionale costa est per declinarlo in un modus - ora elettronico, ora strumentale - elegante, progressivo e sfaccettato di rock, funk, affluenze latine, mediorientali, pop (i numeri cantati abbondano) e neo-soul.
Se l’intro energica e chitarristica di “Supermagic” ci riporta alle atmosfere tese e promiscue di “The New Danger”, “Twilite Speedball” ha un incedere caustico e street da manuale (fiati slabbrati, archi cupi, rintocchi taglienti), “Auditorium”, su una vena black orchestrale anni 70, è un anthem fulminante in cui è incastonata la strofa gioiello di Slick Rick, indimenticato e “occhio-bendato” eroe della old-old-school, “Wahid”, una contrastata danza dei veli, “Quiet Dog Bite Hard” fa calare sul preludio condottiero di Fela Kuti una gragnola tribale e tambureggiante, sorretta dal basso e dalle percussioni e propulsa dal flow giocoliere.
Piazzato grosso modo a metà, il singolone “Life In Marvelous Time” è, invece, da classificare fra gli episodi meno riusciti: rap da arena fin troppo pompato, dal suono “rocky” e mainstream. Poi, in sequenza, le esotiche “The Embassy”, basso formicolante e melodia salmodiante, e “No Hay Nada Mas”, rilascio afro-cubano, aprono adeguatamente la strada all’impatto strumentale (funk-rock screziato di psichedelia) di “Pretty Danger”. E il piatto è ancora ricco e saporito con l’inciso reggae di “Workers Comp.” e “Revelations”, sospesa fra danza di guerra da “mille e una notte” e tentazioni alt-rap, anche se a fare di nuovo la differenza è la trilogia finale: “Roses”, preghiera nu-soul dal sapore antico e poetico condivisa con la splendida voce di George Anne Muldrow, e “History”, taglio oldschool classico e torrenziale che lo ricongiunge all’antico gemello Talib Kweli (ai tempi dell’album a denominazione Black Star), dove i due rivendicano e ripercorrono, appunto, la loro storia comune, e “Casa Bey”, p-funk tumultuoso (fiati e synth sul binario del basso e della batteria) suonato, rappato e cantato in forma smagliante.
(23/07/2009)