I Jaga Jazzist sono sempre stati un fenomeno borderline. Il loro incrocio sapiente ma un po' sornione di jazz ed elettronica rappresenta una formula molto utile per piacere a un pubblico vasto. Non è infatti un caso che i precedenti dischi della band abbiano riscosso un discreto successo sia di critica che di ascoltatori. Nonostante questo, la sensazione da "sono bravi, ma non si applicano abbastanza" ha contribuito a mantenerli distanti dall'affermazione definitiva. Insomma: la tecnica può tappare fino a un certo punto la mancanza di idee.
"One-Armed Bandit" ("bandito con un solo braccio", come vengono chiamate le slot-machine) cambia completamente gioco: i norvegesi dismettono i panni da fighetti lounge per raccogliere la pesante (pesantissima) eredità del post-rock chicagoano. La cosa veramente sbalorditiva (ma a chi mastica un po' il genere non sembrerà così strano) è che questo sembra essere il disco più strettamente privo di idee dei fratelli Hornveth & co. Eppure stupisce come pochi altri sono in grado di fare.
Partiamo da un presupposto iniziale: il post-rock, quello con base a Chicago s'intende, non è più quello che ricordiamo. Cancellate dalla vostra testa i ritmi circolari e gli infiniti studi sulle variazioni del ritmo, quello che rimane è solamente prog-rock modernizzato. L'esempio lampante di questo nuovo percorso è "Beacons Of Ancestorship", l'ultimo disco dei Tortoise: tanta elettronica, tanta voglia di melodie epicheggianti e barocche, tanto materiale suonato come sempre in maniera impeccabile. Soprattutto tanto, tanto manierismo, inteso come celebrazione della capacità di costruire un pezzo in maniera razionale. Architettura applicata al suono. Per lo più il fatto che quel disco sia uscito direttamente dai capostipiti del "primo" post-rock fa pensare. Proprio sulla scia di queste nuove intuizioni ante-litteram (nel senso che di "nuovo" non ce n'è neanche a volerle) si colloca il lavoro dei Jaga Jazzist, complice la presenza di John McEntire (leader dei Tortoise) dietro il mixer.
Il cuore pulsante del disco è il culto dei dettagli. Un giro di basso qua ("Music Dance Drama"), un cambio di ritmo là ("One-Armed Bandit"), un'esplosione controllata di synth o chitarra ("Touch Of Evil"), una sottile melodia di fiati ("Toccata") bastano per trasformare completamente la superficie musicale dei pezzi, trasportando l'ascoltatore in un mare magnum di suoni e strutture che si scontrano, eppure combaciano con precisione impressionante. Metteteci vicino la ricerca dell'enfatico ("Banafleur Overalt") e la non-voglia di sperimentazione e "One-Armed Bandit" può essere benissimo considerato un recupero della coscienza progressive e del gusto per l'eccesso tanto rinnegato dalla cultura avant- e indie.
I Jaga Jazzist hanno saputo osare privandosi completamente di nuove idee, lasciando perdere ogni prospettiva avanguardistica e recuperando un modo di vedere la musica sorpassato di quarant'anni: il risultato non può che sorprendere.
07/02/2010