Chissà che sguardo si saranno scambiati Spencer Krug e Dan Boeckner, nel ritrovarsi a comporre insieme a due anni dall'ultimo disco - uno iato denso di esperienze, rappresentate ma non esaurite dai quattro dischi pubblicati dall'uno e dall'altro con quattro diversi progetti (Sunset Rubdown, Handsome Furs, Moonface, Swan Lake). E' naturale quindi che i due si affrettino a specificare che quest'ultimo lavoro dei Wolf Parade sia nato non come semplice somma dei singoli contributi, ma come sforzo collettivo vero e proprio.
Dichiarazione che rimane ancora tutta da verificare: il "fatto" principale di questo "Expo 86", quello che prescinde dall'analisi musicale tout court e da considerazioni sulla naturale evoluzione della band e dei suoi componenti, riguarda la constatazione che l'urgenza espressiva del gruppo appare ormai sfilacciata. Quest'ultimo lavoro dei Wolf Parade suona spuntato, alla vana ricerca - attraverso qualche grossolanità di troppo - di riesumare gli spigoli infiammati d'ardore giovanile di "Apologies To Queen Mary", le sue sincopate danze robotiche (si veda "What Did My Lover Say? (It Always Had To Go That Way)").
A essere particolarmente sfasato rispetto allo spirito della band è probabilmente Krug, ormai avviato lungo un peculiare cammino di "sciamanesimo urbano", naturale approdo dopo il parossismo giovanile dell'inizio coi Frog Eyes. Per questo ritrovare, a un certo punto dell'iniziale "Cloud Shadow On The Mountain" (come in genere accade nei dischi dei Wolf Parade, la traccia di maggior tiro), gli stessi scricchiolii allucinati, le impennate metalliche che rappresentano lo scenario post-apocalittico delle declamazioni dei Sunset Rubdown provoca un certo imbarazzo anche in chi segue con ammirazione le oniriche predicazioni di Spencer. E' l'isteria dei riff di Boeckner a tenere agganciato il pezzo al tessuto del gruppo canadese, a testimonianza di un periodo di composizione volenteroso ma estremamente difficile.
Non è tanto la diffidenza verso nuovi territori sonori a compromettere il giudizio di "Expo 86": il maggiore contributo tastieristico di Krug pare invece tratteggiare possibilità interessanti per la band, come nelle suggestioni quasi nu-rave, à-la Late Of The Pier, di "Ghost Pressure". L'incedere eccessivamente greve del disco, invece, priva lo stesso della necessaria freschezza, che lo potrebbe elevare a "semplice" opera di pop alternativo. La ricerca di una grandeur sonora spesso sopra le righe - quasi un wall of sound ("Yulia") - come innesco emozionale rende "Expo 86" lontano dall'urlo giovanile di "Apologies To Queen Mary" e più vicino all'espressione di una band priva di idee, dal suono anabolizzato.
E' un peccato, dal momento che pareva, col suo "Dragonslayer", che Krug avesse ormai fatta sua la capacità di imbrigliare il suo estro in composizioni compiute. Nelle tracce più ambiziose di "Expo 86" (la finale "Cave-o-sapien" su tutte) riaffiora invece tutta l'inconcludenza dei suoi lavori minori, in brani dalle progressioni accattivanti le quali, in fin dei conti, non riescono nell'insieme a completare, concatenandosi, la trasfigurazione.
Difficile fare previsioni sul futuro della band, dato che pare evidente che Boeckner e Krug non riescano a reggere il ritmo di pubblicazione che stanno tenendo - più o meno da sempre, in effetti. Privare la scena canadese e non solo di una band bifronte, dalle potenzialità live esplosive (chi li ha intercettati nel loro recentissimo passaggio italiano potrà confermare), con due personalità così complementari, sembrerebbe un vero delitto, sebbene i loro percorsi individuali siano tutt'altro che privi di prospettive. Dalla loro espressione dal vivo conviene forse ripartire, sperando che sorga in loro la consapevolezza di non poter pubblicare dischi come risultato di sessioni di due settimane - per quanto intense si possano pensare.
01/06/2010