Orson Welles, una volta, dichiarò: "Forse ho toccato l'apice troppo presto: ho cominciato dal punto più alto, non potevo che scendere". "L'"apice" e il "punto più alto" era, naturalmente, "Quarto Potere", opera d'esordio, summa della sua poetica di autore e regista, nonché uno dei vertici ineguagliati del cinema americano classico. Quello che intendeva dire era che qualsiasi cosa fosse venuta dopo sarebbe uscita ridimensionata dal paragone, specialmente agli occhi dei critici. E probabilmente non aveva nemmeno tutti torti.
Si parva licet, anche Joshua Paul Davis, in arte Dj Shadow, per molti versi sembra essere rimasto prigioniero di un confronto in qualche modo perdente con se stesso o, per meglio dire, con la sua straordinaria opera prima. Quell'"Entroducing...", vecchio ormai di tre lustri, che lo aveva portato al successo mondiale, elevando l'arte sincretica del djing alle soglie della composizione di musica colta e classico-contemporanea. Da allora non è che il buon Shadow non si sia dato da fare o che non abbia prodotto - tra album veri e propri, colonne sonore, remix, singoli e featuring per il mercato pop e hip-hop - episodi degni della sua classe e della sua fama, ma spesso ha dato l'impressione d'inseguire qualcosa che continuava a sfuggirgli, a non essere come più come doveva o poteva essere, fino a fargli perdere, a tratti, il bandolo della matassa. Ad esempio, l'ultima uscita a suo nome, "The Outsider" del 2006, provocò una levata di scudi forse un po' eccessiva (specie sulla rete) in molti estimatori della prima ora, suscitando di riflesso la replica piccata e orgogliosa di Davis a difesa dello stesso.
Cinque anni dopo, torna alla carica con "The Less You Know, The Better" che, già dal titolo, assomiglia implicitamente a un invito a lasciarsi andare al flusso della creatività senza porsi troppe domande o dubbi di natura stilistica. Con questo nuovo lavoro, Dj Shadow sembra voler coniugare, senza soluzione di continuità, la "metafisica" del samplin' e la frenesia costruttivista dei tempi di "Entroducing..." con il gusto per la canzone fatta e finita, la ricerca del singolo a effetto, che lo hanno caratterizzato in tempi più recenti. Non sempre trova la giusta misura e qua e là sembra affiorare un eclettismo un po' forzato e compiaciuto, ma nel complesso la formula si rivela consona alle sue (enormi) qualità tecniche e alla vivacità del songwriting. Da sempre a suo agio nel mescolare l'avanguardia hip-hop con un collage di ricercate sonorità popular, svolazzi alt-rock, vestigia trip-hop ed electro-dark, soundtrack e minimalismo da camera, Dj Shadow richiama l'opus magnum in brani quali "Circular Logic (Front To Back)", cupo assemblage di campionamenti e dialoghi cinematici, cambi di tempo e onirici passaggi strumentali, "Enemy Lines", coi bassi tellurici e la timbrica tenebrosa dei synth, la splendida "Give Back The Nights", i versi furibondi e commoventi di una slam poetry stile "beat generation" declamati su un giro di basso cavo e sonnambulico su cu si levano ventate di tastiere, mentre le grida finali ("The Niiiights...The Niiiights...": da brividi!) si stemperano in una lieve coda di chitarra elettrica e la pure notevole "(Not So) Sand And Lonely", ripresa di un altro brano pop pianistico contenuto nell'album ("So Sad And Lonely") trasformato in una piccola suite noir e classicheggiante con trasparenze vocali femminili anni 40/50.
Per il resto, a parte il riuscito pastiche fra blaxploitation, break-beat e chitarre acustiche jazzate di "Run For Your Life" e la non riuscita commistione di riff hard-rock e beat d'avanguardia di "I Gotta Rokk" (troppo lunga e troppo presto a corto di soluzioni), Shadow centellina il suo estro in brani dalla costruzione più piana e regolare, spesso cantati o interpretati da ospiti prestigiosi. E, fra alti e bassi, non si fa mancare nulla: l'hip-hop alternativo vecchia scuola dal sapore afro e daisy-age di "Stay The Course", con la partecipazione di Talib Kweli e del grande beatmaker Pos dei De La Soul, il pop sintetico e sinuoso, appena venato di soul, di "Scale It Back" (cantata da Yukimi Nagano dei Little Dragon), quello più austero e sopranile della bella "Redeem", un electro-folk dalle sfumature arty e psych molto bay-area come "I've Been Trying" e l'incursione synth-punk di "Warning Call" con un Tom Vekk che canta alla Billy Idol. Non un disco riuscito alla perfezione, questo "The Less You Know, The Better", ma un lavoro comunque di buona fattura, in grado di rialzare le quotazioni di quello che resta uno dei maggiori autori della musica hip-hop ed elettronica tutta. E poi anche lui, come Orson Welles, non ha mica tutti i torti: meno ne sai e meglio è. E al diavolo, una volta tanto, i paragoni.
(02/10/2011)