Sin dalla sua prima apparizione con i Mellow Candle, Clodagh Simonds è rimasta una figura di culto assoluto. Dopo quel meraviglioso parto di folk psichedelico intitolato "Swaddling Songs" (datato 1972), la musicista irlandese ha intrapreso un percorso di tutto rispetto che, pur tenendola lontana dai riflettori, l'ha vista collaborare con personaggi importanti come Thin Lizzy e Mike Oldfield.
L'interesse intorno alla Simonds si è risvegliato in questi ultimi anni, proprio con la riscoperta di quell'album. Ecco allora nascere Fovea Hex, progetto avanguardistico a cui hanno contribuito, tra gli altri, musicisti del calibro di Brian e Roger Eno, Colin Potter di Nurse With Wound, Robert Fripp, Steven Wilson, e Andrew M. McKenzie di Hafler Trio. "Neither Speak Nor Remain Silent" raccoglieva tre Ep - "Bloom", "Huge", "Allure" - usciti tra il 2005 e il 2007, che mettevano in mostra una musica intimista, costruita sull'interazione di voce, strumenti acustici ed electronics.
Di lì, almeno in certi ambienti, l'attesa per una nuova uscita di Fovea Hex si è fatta spasmodica ed è stata oltremodo ripagata da questo meraviglioso "Here Is Where We Used To Sing".
Diciamolo subito, c'è da rimanere basiti dall'intensità delle undici composizioni, a partire dall'iniziale "Far From Here", un lied da camera iperbarica in cui i grevi rintocchi di pianoforte accompagnano il canto imperscrutabile della Simonds. Il suo espressionismo trascendente e caliginoso ricorda quello di Nico, malgrado il suo modo di "recitar cantando" si attesti su registri più duttili. Ne è testimonianza la successiva "Play Another", nella quale il contrasto tra l'imperturbabilità delle musiche e il portato emozionale del canto tiene il pezzo in un limbo incastonato tra cielo e terra.
Il bello delle composizioni di Fovea Hex è che, pur evolvendo in maniera inaspettata e inerpicandosi per sentieri melodici e armonici tortuosi, riescono a essere immediatamente seduttive. Merito (anche) dell'ottima parte strumentale, qui composta grazie al supporto di musicisti del calibro di Michael Begg (Human Greed), Colin Potter, John Contreras, Fabrizio Modonese Palumbo (Larsen), che non a caso rende i tre pezzi strumentali pienamente bastanti a se stessi.
Punto di massimo raccordo tra l'intensità delle musiche e "l'anodina emozionalità" del canto è "A Hymn To Sulphur", splendida elegia che si snoda per oltre sei minuti tra ondeggiamenti di pianoforte e violoncello.
La conclusiva "Still Unseen" restituisce l'immagine di una musica androgina che non è folk, non è ambient, non è gothic, non è musica cameristica, non è cantautorato, ma è un po' tutto ciò. Più di tutto è una musica che viene dall'anima.
01/05/2011