È inglese la novità più succosa in ambito "hip-hop e dintorni" emersa nel primo trimestre del 2011. Segnatevi questo nome: Obaro Ojimiwe in arte Ghostpoet. Viene da Londra, con quel suo particolare accento afro-cockney, anche se è originario di Coventry e gravita musicalmente sull'asse di sonorità di chiara matrice grime, uk-garage pre-dubstep, corrette con una punta di elettronica Warp e piallate in una forma canzone di stanza rap, piuttosto minimale, insinuante, discretamente orecchiabile. Un substrato che reagisce a meraviglia col timbro originale del suo mcing, abile nel mescolare metriche irregolari, frastica spoken word e brani semintonati. Come una specie di Mike Skinner narcolettico o un Dizzee Rascal brucaliffo col microfono in una mano e il narghilé nell'altra.
Ghostpoet è un antieroe metropolitano, piccolo poeta dei sobborghi, graphic novelist del flow che compendia intimismo e ironia in un idioma onirico e crepuscolare allo stesso tempo, come si evince già dall'adorabile titolo di questo disco d'esordio: "Peanut Butter Blues & Melancholy Jam".
Non è una cronaca compiaciuta della vita di strada, la sua, ma della lotta pacifica e quotidiana per affrancarsi dalla stessa. Le sue liriche assomigliano stralci di reading pronunciati a tempo di musica in un book café di periferia, mentre fuori risuonano, ovattati, udibili appena, voci di spacciatori, sirene della polizia e tossici in fuga. L'autocoscienza parte da lì ed è un fatto privato, nel quale la malinconia si tinge sardonicamente di humor.
Ghost misura la sua poetica minimalista in dieci brani che oscillano fra humus dubstep ("One Twos/Run Run Run", "Us Against Whatever", "Cash And Carry Me Home"), hip-hop traslato alla Antipop Consortium prima maniera, come nelle groovy "Finished I Ain't" e "I Just Don't Know" (con quel ritornello che sembra una specie di lungo sbadiglio), fra grime e glitch ("Longing For The Night") o nella beccheggiante apnea elettronica di "Gaaasp". Una scrittura nell'insieme un po' monocromatica, che si screpola, qua e là, in piccole digressioni interessanti, anche in chiave futura, come nel pop evanescente della memorabile "Survive It" o nell'incrocio fra rap e college-rock un po' alla Why? e Sage Francis di "Liiines".
Le immagini evocate da Ghostpoet ricordano quelle, immobili e spiazzanti, di un film di Jim Jarmusch girato in esterni/interni british e uggiosi. E se manterrà queste premesse (e promesse) avremo molto di che deliziarci anche in futuro.
05/04/2011