Dopo diversi anni di attività, arricchiti anche con svariate esibizioni live nella loro Terra di ispirazione, ovvero la Gran Bretagna, i fiorentini Hacienda arrivano al primo album ufficiale. L'affermazione del fatto che le influenze di questo quartetto provengano da Oltremanica è senz'altro incontestabile ascoltando anche una sola delle dodici canzoni presenti. Si presenta, quindi, subito il nodo che risulta necessario sciogliere per giudicare questo disco: è più importante la chiarezza dei riferimenti, e quindi la scarsa originalità della proposta, oppure la capacità di rifarsi a determinati modelli ma senza dare l'impressione di scimmiottarli e mostrando, quindi, una propria personalità?
Il sottoscritto sostiene da sempre, e continuerà a farlo fino alla morte, la seconda delle due opzioni. Conta fino ad un certo punto, quindi, che durante lo scorrere dei brani sia facile stilare un elenco di riferimenti, così composto: una sorta di incrocio tra i Jam ed i Futureheads nei primi tre brani più "Yesterday's Paper" e "Mrs. Nobody"; una versione pop e rilassata degli Arctic Monkeys nel terzetto "59", "Here In The Sand" e "Last Bus On The Way"; evidenti influenze northern soul in "Why Would You Come Back"; lo stile retrò dei Coral in "Later On Demand" e quello più moderno e contaminato dei Vampire Weekend in "Mexican Salad", unica escursione fuori dai territori marchiati con la Union Jack. Un gruppo, comunque, può avere tutti i rimandi di questo mondo, ma c'è sempre una certa differenza tra l'essere una tribute band ed il mostrare con stile le proprie passioni musicali. E gli Hacienda questo fanno, grazie ad una serie di punti di forza non indifferenti.
In primis, un songwriting mai banale, grazie al quale le canzoni hanno un andamento lineare ma mai scontato, grazie vuoi ad indovinati stacchi melodici ("You Might Be Wrong"), vuoi ad azzeccati cambi di tempo ("Nova"), vuoi, infine, alla sapiente unione di strofe dalle melodie sfuggenti con ritornelli molto più catchy ("59"). In generale, non viene mai immediato aspettarsi dove il brano possa finire una volta iniziato e le melodie non ricercano ossessivamente l'orecchiabilità, ma sono spesso di difficile assimilazione senza però mai risultare pesanti o noiose. A questo impianto compositivo deve per forza accompagnarsi una mancanza di staticità dal punto di vista sia strumentale che vocale, ed anche qui la missione è pienamente compiuta, da un lato con un suono dall'impronta tipicamente brit rock che mantiene una buona coerenza d'insieme ma è tutto un saliscendi per quanto riguarda la robustezza e la ricchezza di particolari, dall'altro con un uso dei cori anch'esso sempre dinamico ed interessante. Infine c'è un aspetto che può sembrare marginale ma che invece ha sempre un certo peso perché si possa parlare dei citati stile e credibilità: la pronuncia inglese perfetta, in questo caso con accento del Nord dell'Inghilterra, guarda caso la zona dove maggiormente gli Hacienda si sono fatti le ossa prima di registrare queste canzoni.
In definitiva, questo "Picking Pennies Off The Floor" è senz'altro un disco di genere, ma ha le qualità per lasciarsi ascoltare a lungo senza stancare, e per un'eventuale maggior originalità stilistica, ci sarà tempo con i lavori successivi.
03/05/2011