Ci sono recensioni dal piglio retorico che lodano l'artista "in potenza" - nel divenire, nell'evoluzione - mentre questa si svolge e poco prima che diventi qualcosa di compiuto, di emotivamente godibile e, perché no, fruibile. Mi piacciono queste recensioni poiché, sebbene io sia un volgarissimo ottimista col piglio curioso e mi affascini il viaggio più che l'arrivo, non riesco a godere del panorama che scorre se non una volta giunto a destinazione, dove posso rielaborare suoni, immagini, concetti e odori. Tutto assume significato.
Ci sono poi recensioni che giudicano l'"atto", la finitezza di un'opera che, proprio perché si presume compiuta, è degna di essere giudicata a discapito della sua storia. "Ascension" cade purtroppo nelle mie mani e se provo ad ascoltarlo "in potenza" è un album interessante, con spunti datati ma efficaci, con soluzioni dinamiche da manuale e contorsioni stilistiche che di sicuro porteranno la band di Broadrick da qualche parte. Il problema è sapere dove e, soprattutto, quando.
Già, perché se andiamo a vedere cosa offre "Ascension" nell'immediato (nell'"atto"), ci accorgiamo di come le soluzioni citate appena sopra divengano d'un tratto obsolete, dozzinali. Un ottimo album, se considerato in un panorama mondiale che negli ultimi anni ha partorito shoegazer a profusione, revival post-rock su larga scala e in cui persino giovani band dedite al black metal trovano spazio (dapprima esiguo, poi via via sempre più esteso) per elucubrazioni strumentali, perde di colpo il suo fascino e diviene l'ennesima copia stanca di qualcosa che esiste e persiste oramai da più di un decennio.
Fortuna ha voluto che l'indiscutibile talento di una band sia riuscito a supplire alla mancanza di novità con l'inventiva, i particolari che accrescono l'emotività, il trasporto che innegabilmente lega questo e gli album (Lp ed Ep) precedenti, in cui una sapiente mano gioca con gli strati armonici, con le dinamiche e persino con i volumi. La chiave di lettura di un lavoro simile non può che essere nei particolari, nei dettagli, nelle contrapposizioni così ben assemblate da dover e poter essere scoperte solo in seguito a più di un ascolto.
"Sedatives", "Broken Home", "Fools" e "Black Lies" giocano con le sensazioni riproponendo schemi classici del genere, già ampiamente accennati dal predecessore "Conqueror" (senza contare il piccolo arcipelago di Ep nel mezzo), e in cui il moto lento, ondulatorio finisce per accattivare e rapire. Vuoi perché, appunto, il talento nella musica conta ancora, vuoi per quell'aggiunta di chitarre acustiche che restituiscono calore e spessore a un lavoro che riesce comunque a non perdersi e a non perdere il filo della narrazione. Un racconto che parte dagli Slint per tornarvi dopo essere passato per meccaniche reminiscenti gli ex-compagni di etichetta Isis e l'esperienza Godflesh, ormai parte di un passato che ha tutte le qualità del remoto: lontano, finito, definito, bello.
"Ascension" resta comunque un lavoro interlocutorio (l'ennesimo), che lascia presagire (ancora una volta) le potenzialità di un gruppo che a quasi due lustri dalla fondazione non riesce a trovare un'identità propria e staccarsi dal carrozzone di band immaginifiche che fanno, come i Jesu, del dinamismo la carta vincente. Se non fosse che Broadrick ci arriva sempre con un po' di ritardo...
22/06/2011