In orbita fissa sopra la sua Ridgewood, la Ridgewood prodigio dove si è verificata la singolare convergenza di talenti artistici sulla bocca di tutti dall'altra parte dell'Oceano - dai Real Estate ai Titus Andronicus, passando per Ducktails -, Julian Lynch osserva il pianeta e studia l'importanza della musica nei processi antropologici nel suo progetto di dottorato.
Da qui la sua, di musica. Il suo sesto disco in tre anni (naturalmente un marasma di cassette autoprodotte e uscite di nicchia), "Terra", diventa in parte una somma di registrazioni, di impressioni frammentarie, come se fosse stato solo in parte recuperato dal flusso della Storia, in parte un tentativo di distaccarsi dalla sua immagine di artista da cameretta e scongiurare una pericolosa involuzione. "Terra" sfugge infatti dal pericoloso luogo comune per il quale l'obliquità espressiva è per forza sinonimo di Arte: in realtà, invece di tentare di rappresentare la complessità, si rinuncia ad essa confondendola.
Non così è per questo nuovo disco, che segue da vicino "Mare" - notare i vezzosi richiami latini - dello scorso anno. Invece di abbozzare costantemente, Lynch tenta più volte la via della canzone vera e propria, riuscendo in un suono assai meno claustrofobico e inconsistente che in precedenza. Già il sax d'altri tempi che risuona nelle prime note del disco, nella title track, ha un timbro diverso, un dispiegarsi verso altri mondi, che si riflette poi nella esotica ma rassicurante psichedelia del brano, trainato da un'acustica quasi dronica e dallo squagliarsi dell'immancabile tastierina.
Struttura ripresa in "Canopy" e "Back", quest'ultima forse una delle più sorprendenti per linearità, insieme al lento valzer meccanico di "Water Wheel Two" - per non citare il loop tastieristico di "Fort Collins" che, alternato ai rintocchi di basso e al falsetto di Lynch, ricorda da vicino i Sigur Rós di "Hvarf/Heim". Un forte senso di maggior "direzione" si ha, però, in tutto il disco, anche laddove la parola viene abbandonata in favore di un gentile motivo per flauto e chitarra ("Water Wheel One"), oppure si disegnano paesaggi di sax cibernetico, vangelisiano ("Ground").
Insomma qualcosa si intravede, in "Terra", al di là della necessaria coltre di ermetismo e di esotismo "etno-musicologico", ed è quanto si spera venga sfruttato da Lynch nel prosieguo della sua carriera. Ora che ha deciso di dedicarsi alla produzione di qualcosa di compiuto, di tangibile, niente gli è precluso.
11/05/2011