"Wild Flag" è l'omonimo fulminante esordio di quello che potremmo a tutti gli effetti considerare un supergruppo.
Dentro ci sono un paio di Sleater-Kinney (la cantante/chitarrista Carrie Brownstein e la prima batterista Janet Weiss, in seguito anche con Quasi e Stephen Malkmus), più l'altra guitar/vocalist Mary Timony (già con Helium e Spells) e la tastierista Rebecca Cole (Minders, Shadow Morton).
Il disco è vivamente consigliato anzi tutto a chi rimase di sasso per non aver mai potuto consumare un successore di "The Woods", ed ancora di più ad un sottoinsieme di questi, formato dagli stigmatizzatori del troppo trattenuto ritorno di Corin Tucker, avvenuto un annetto fa con una nuova formazione intestata a sé stessa.
Confermata la scelta di suonare senza basso, con le due chitarre (sempre protagoniste) che si prestano ad eseguire anche le parti ritmiche, la Brownstein si impone come elemento centrale del nuovo progetto.
Dentro "Wild Flag" non c'è un attimo di pausa: una stupefacente macchina hardcore/garage che si incrocia con i fantasmi punk di Patti Smith ("Boom", "Short Version"), con gocce di psichedelia dai richiami sixties ("Glass Tambourine"), con alt rock zuccherosi dal taglio obliquo ("Something Came Over me"), con nervosi potenziali hit post wave (l'iniziale "Romance"), miscelando intrecci di sei corde e belle intessiture vocali.
Alcune tracce filano via rapide come un treno ("Future Crimes"), altre sono più strutturate, arrivando a superare i sei minuti, come nel caso di "Racehorse" nella quale la Brownstone declama "I'm a racehorse/ Put your money on me" imponendosi come la migliore attualizzazione possibile della signora Courtney Love.
Significativo il fatto di aver scelto qualche mese fa per il primo show la città di Olympia, Stato di Washington, luogo dove si formarono le Sleater-Kinney nel 1994, ma anche città simbolo di tutto un immaginario legato alla scena grunge e alternative di quel decennio.
Senza perdersi in troppe urla primordiali, le quattro signore realizzano oggi un convincente esordio che sa richiamare certi atteggiamenti che resero importante la scena rock indipendente negli anni '90, scaraventandoli nel nuovo millennio in chiave moderna.
Niente archeologia musicale, né tanto meno puzza di muffa, "Wild Flag" è il disco che in molti hanno pazientemente atteso per parecchio tempo.
Dieci tracce che sapranno dividere la platea: se da una parte chi è cresciuto a pane, chitarre e Sonic Youth stenterà a credere alle proprie orecchie, dall'altra i patiti per l'elettronica gradiranno vomitarci sopra.
Ma il bello di realizzare un album importante è anche questo: la capacità di provocare opinioni forti e contrastanti.
Le ultime riot grrrls del mondo hanno realizzato un lavoro pressoché perfetto.14/11/2011