Alter ego irlandese di Bill Callahan, per somiglianza timbrica soprattutto, Adrian Crowley sembra in questo sesto lavoro evocarne le gesta, in particolare quelle di “Sometimes I Wish We Were An Eagle”, già dal titolo e dalla copertina, un po’ didascalicamente bucolica.
È quest’ultimo, in effetti, il tono dominante di questo “I See Three Birds Flying”: quadretti ironici di vita agreste, di contatto con la natura (“Alice Among The Pines”, “Red River Maples”) si alternano a pezzi da paterno cantastorie (le vagamente Hannon-iane “Fortune Teller Song” e “Lady Lazarus”), che ricordano la vicinanza di Crowley a James Yorkston (si vedano “September Wine” e la struggente “the Mock Wedding”), col quale ha effettivamente collaborato.
Un po’ come negli ultimi lavori di Yorkston, è il senso di “confortevolezza” artistica e umana a spegnere il disco, spesso fin troppo sornione e faceto, come nell’iniziale “Alice Among The Pines” e nella pur ottima “The Saddest Song”, soprattutto in confronto a un disco come “Long Distance Swimmer”, animato da ben altra urgenza espressiva.
Tirato a lustro da arrangiamenti elaborati, all’insegna di un elegante minimalismo, che non si nega parti per archi, trasognati intermezzi elettrici (“September Wine” e “The Saddest Song”, ancora) e più moderne progressioni d’umore (“The Morning Bells”), “I See Three Birds Flying” è il disco di un autore maturo, forse appagato. Abile nel descrivere il mondo, osservandolo e riproducendolo; abbastanza navigato per prendere alla leggera i temi che gli stanno a cuore; in ultima istanza, in possesso delle chiavi di un’arte rassicurante, ma non vivace.
È un po’ qui che sta il maggior punto di forza del disco, e insieme il suo punto debole più evidente. Per quanto non accusabile di calligrafia, troppo mestiere, o manierismo, la sensazione è che il baricentro di “I See Three Birds Flying” sia spostato più verso la rappresentazione, che verso l’espressione.
(09/10/2012)