Passo dopo passo, la visionaria lettura della musica folk di Luke Wyland si è delineata nella sua originalità creativa, concentrando l'attenzione sugli elementi coesivi dei suoi variegati spunti stilistici. Lo spirito freak legato all'improvvisazione e alla complessa sezione di strumenti si è confrontata prima con la psichedelia in "Au" e in seguito con meditazione antropologica in "Verbs", per poi gettare via le vestigia più auliche in cerca di una dimensione più "fisica" nella rilettura elettro-ritmica di "Version".
La musica degli Au (pronuncia ay-yoo) conserva la struttura d'orchestra free-form accogliendo pregevoli virtuosismi in bilico tra genialità e follia. Formatosi su studi classici, Luke Wyland ha progressivamente ampliato il suo parco strumenti - che va dal piano alla chitarra passando per il banjo e i campionatori - e allontanato dal progetto i collaboratori saltuari. La presenza fissa di Dana Valatka come suo alter ego sembra aver dato alla musica degli Au le giuste coordinate sulle quali muoversi e agitarsi.
Folk, acid-rock, jazz, psichedelia e musica classica sono alcuni dei frammenti che vengono miscelati nel tormentato caleidoscopio di suoni e ritmi. Luke e compagni si avvicinano ai confini del lecito per poi ritornare sui propri passi, generando un suono flessibile ed eclettico.
La musica scorre e avanza impetuosa, scandendo tempi ed emozioni con un flusso cronologico non casuale: "Epic", ad esempio, apre scenari nuovi convogliando elementi armonici e ritmici in una mini-sinfonia che mette in gioco tutta la potenzialità del progetto, mentre Colin Stetson fa la sua comparsa con il suo sax trasformista e magnetico.
La musica viaggia su una doppia velocità: "Why I Must" è un electro-glam dalla vorticosa trama ritmica che supera i confini del suono, mentre "Go Slow" si insinua lenta, adagiandosi tra frammenti di minimalismo alla Michael Nyman. La voce di Luke Wyland è un languido strumento intrusivo, appena appena temperato dalla soavità tremula di Sarah Winchester in "Old Friend".
Resta ostico il complesso insieme di matrici e costruzioni aritmiche che in "Solid Gold" prendono il sopravvento con sonorità che s'invertono fino all'arrivo del sassofono di Colin Stetson, che trascina il tutto verso il folk tribale.
È tuttavia un virtuosismo lievemente fine a se stesso, quello che si agita in "Today/Tonight", o che pulsa dietro il rock robotico di "Oj", ma sempre pronto a definire i contorni più avantgarde in ballate dal lirismo primario come "Get Alive", che ci regala un nobile duetto di piano e basso.
"Both Lights" è il primo capitolo di un nuovo corso per gli Au. La loro frenetica versione della bellezza ha ora una forza fisica più penetrante, anche se lo spaesamento che provocano alcune fughe stilistiche sono il segnale di una deriva verso l'autocompiacimento, un passo in avanti verso un suono più diretto e una complessità strumentale non sempre ben definita. Non è ancora l'album "definitivo" degli Au, ma c'è un brivido per l'inaspettato nel loro agglomerato di follia sonora che rischia d'impossessarsi di voi.
13/05/2012