I Bad Love Experience sono una di quelle band dalle quali non sai mai che cosa aspettarti. Dopo l'omonimo esordio in stile garage e il fortunatissimo secondo atto "Rainy Days", immerso nei rassicuranti temporali britannici (con tanto di singolo "21st Century Boy" usato dal conterraneo regista Virzì per il suo film "La prima cosa bella" e successivamente candidato ai David di Donatello), i quattro livornesi intitolano la loro terza piroetta "Pacifico".
L'"oceano" del titolo è un gigantesco calderone di generi (dal folk al rock, dalle sonorità balcaniche al gospel), citazioni, tradizioni, strumenti, luoghi evocativi o semplicemente evocati. Immaginate un oceano all'apparenza placido eppure sferzato al suo interno da correnti che si scontrano silenziosamente. Oppure immaginate un villaggio, quello raffigurato in copertina, una piccolissima Spoon River dove i personaggi lasciano il posto ai loro umori e ai minuscoli segni del loro passaggio.
"Pacifico" può essere questo, oppure il suo esatto opposto; forse entrambi. Parlare di un album come questo significa scendere al piano delle pure sensazioni: difficile muoversi in tale spaesamento, tanto vale lasciarsi trasportare. Se il coraggio dei Bad Love Experience consiste nel lasciare l'indie-rock, che tanto bene ha portato loro, per uno sperimentalismo a dir poco radicale, senz'altro a beneficiarne è l'esplosione - definitiva - di un talento smisurato.
Quello dei quattro livornesi, s'intende. Geniali, spericolati, ispiratissimi. A tal punto da infarcire l'album con strumenti etnici di ogni genere e provenienza, quasi stessimo ascoltando un disco di world music. Così non è. Sottotraccia, nascosto tra le innumerevoli pieghe di un'opera monumentale sia nelle intenzioni che nei fatti, il rock c'è ancora (l'incipit di "Rotten Roots" è la fotocopia della vecchia, cara "21st Century Boy"). Ma è solo uno dei tanti ingredienti.
"Pacifico" è un disco folk, ma nella sua accezione più ampia, quella del termine "popolare". Tali sono gli strumenti impiegati, tale è la mentalità, sebbene diversi passaggi siano tutt'altro che "semplici". Pacifico è un disco alto e basso, raffinato ma accessibile anche ai meno avvezzi. Non un concept-album, semmai un viaggio densissimo di svolte e per questo da ascoltare per intero, senza saltare i suoi 14 passaggi, perché skippare qui significa davvero perdere il filo.
La produzione di Ivan Rossi e Justin Perkins dona un respiro internazionale al lavoro di una band forse più amata all'estero che in Italia. Storditi da suoni strani e giravolte che rimescolano continuamente le carte, si fa fatica a trovare punti di riferimento. Tuttavia, qualche traccia c'è. Le parti iniziali di "The Kids Have Lost The War" rivelano due caratteri predominanti: una pomposità barocca e una psichedelia progressiva che rimandano agli Arcade Fire. C'è un qualcosa di morriconiano nell'evocativa "Cotton Candy".
Ma forse la cartina di tornasole è il primo singolo estratto, "Dawn Ode", spettrale e stranita quanto poteva esserlo lo scorso anno "Razzi Arpia Inferno e Fiamme" per i Verdena di "Wow", anch'essi sedotti sulle spiagge californiane di Brian Wilson. Canzoni private della loro struttura e poggianti su piani invisibili, verrebbe da dire magici. Folk, si diceva, è un'attitudine, un genere musicale ma anche e soprattutto una scelta di campo che prende forma attraverso ciò che manca e ciò che c'è (gli strumenti balcanici, l'ukulele e così via). Pacifico è un luogo immaginario, ma anche uno stato d'animo e trasmettere tutto ciò è l'unico scopo dei Bad Love Experience. Il fatto che ci riescano, e così vividamente, è la prova della loro grandezza.
06/03/2012