Un tramonto visto da cento pittori e fotografi non sarà mai lo stesso: in ugual modo, le sempre più numerose istantanee di vecchie pagine della musica anni 60 offrono più di un punto di vista. Abbandonati momentaneamente i Fleet Foxes, Christian Wago ci propone la sua esegesi del glorioso passato folk-psichedelico e beat americano, con citazioni di Simon & Garfunkel, Zombies e Beach Boys.
E' un progetto potenzialmente intrigante. quello dei Poor Moon, che indugia gradevolmente sui dettagli, preferendo tecniche di sovraincisione alla aggregazione da rock-band. L’esordio sulla lunga distanza del gruppo di Seattle corre su due binari interpretativi e analitici diversi, offrendo approcci quasi discordanti. Il tono pastorale, bucolico e ingenuo tratteggia spazi surreali che evitano forme definite e si adagiano su strutture melodiche pressoché inoffensive.
Una mestizia vocale che evoca Art Garfunkel e un flusso lirico barocco e cristallino figlio di “Smile” dei Beach Boys: questi i due pioli che sorreggono le dieci tracce, che raramente assumono autonomia al di fuori dell’insieme progettuale.
Quasi come una raccolta di b-side, l’album dei Poor Moon offre solo due attimi avvincenti, ovvero la malinconica “Phantom Light”, tratteggiata da harpsichord e suoni medievali, e “Waiting For” unico guizzo verso il formato canzone dell’intero progetto.
Come moderni Hollies, Christian Wago e compagni indugiano in delizie folk in “Bucky Pony” e “Come Home”, e citano l’exotica di Arthur Lyman nella dilettevole “Holiday”, senza accentazioni o esuberanza.
L’esclusione di qualsiasi traccia dell’Ep “Illusion” concilia la sensazione che l’album dei Poor Moon nasca come un unico tessuto organico, assemblato con residui lirici familiari e confortevoli; il tutto per un ascolto da sottofondo psichedelico, ben poco consigliato a chi indugia in analisi profonde e cerebrali.
Christian Wago preferisce tratteggiare i tramonti e le lunghe distese del suo suono folk elegiaco, piuttosto che alterarne i colori; una scelta di stile che merita rispetto, pur restando piacevolmente in attesa di una più rilevante originalità, quella che lascia intravedere l’intenso lirismo della conclusiva “Birds”.
18/09/2012